Rubrica di Mauri N.6: Fin dove arriverà la cimice asiatica…

Ci risiamo. Un altro insetto “alieno” che non fa parte della fauna italiana sta invadendo il nostro paese. Si tratta della famosa cimice asiatica – detta anche “cimice marmorizzata bruno-grigia” – (Halyomorpha halys) e tutti la descrivono come un flagello per l’agricoltura! Originaria dell’Asia orientale, ha velocemente invaso gli Stati Uniti, il Canada e buona parte dell’Europa Centrale ed Orientale. Per caso è stata scoperta nel 2012 in provincia di Modena (dal gruppo di ricerca coordinato dalla Prof.ssa Lara Maistrello dell’Università di Modena-Reggio Emilia che se ne sta occupando) e in pochi anni ha conquistato tutto il Nord Italia, con sporadiche segnalazioni nelle regioni del Centro. Addirittura nel 2016 è arrivata in Sardegna. Anche il disinfestatore se ne è accorto: fra le classiche cimici verdi e marroni che si insediano in autunno in prossimità di finestre, porticati, magazzini e abitazioni private, ce ne sono altre, più strane, che formano ammassi di centinaia di individui. Questa specie si distingue più in dettaglio per la presenza di macchiette “bianco-giallastre” su pronoto e scutello, linee scure sulle membrane alare, bande chiare su antenne e zampe. Naturalmente i trattamenti con formulazioni microincapsulate/sospensioni concentrate a base di piretroidi sono efficaci anche per questi parassiti.

Il problema principale però è legato alla capacità di questi “Rincoti Pentatomidi” di attaccare numerose piante coltivate (cereali, ortive, alberi da frutta), ornamentali e spontanee. Adulti e forme giovanili, quest’ultime caratterizzate da spine ai lati del capo e del torace, tendono a pungere specialmente i fiori e i frutti della vegetazione ospite, determinando danni rilevanti al loro sviluppo naturale e maturazione. Si stima che nelle regioni settentrionali oltre il 40% della produzione di pere e kiwi abbia subito gravi perdite, ma problemi sono stati osservati anche su mele, pesche, susine, kaki, uva, pomodoro, noci e nocciole, soia e mais, ecc. In Europa si osserva un’unica generazione all’anno, mentre in Italia sono nella norma due generazioni di sviluppo. Ad aprile gli adulti svernanti tornano in attività e nel mese successivo vengono deposte alcune centinaia di uova.

Il timore principale è che la specie possa insediarsi anche negli ecosistemi mediterranei, con il rischio alle coltivazioni tipiche di questi ambienti: in Francia e Grecia è già presente, nella penisola Iberica è appena stata segnalata e…in Italia meridionale e Sicilia la stanno aspettando! Gli scambi commerciali e il trasporto passivo dei viaggiatori, sembra con i loro bagagli, contribuiscono all’espansione di questa specie, in quanto è stato dimostrato con analisi del DNA che si possono avere episodi invasivi successivi, con origine diversa.

In campo agrario l’infestante viene monitorato con trappole a feromoni di aggregazione e controllato, per quanto possibile, con reti anti-insetto e prodotti chimici fitosanitari. E si spera che qualche predatore naturale possa fermare la sua avanzata. Intanto è stato individuato un parassitoide specifico, dal nome impronunciabile (Ooencyrtus telenomicida), lungo meno di 1 mm e in grado di attaccare le uova della cimice. In laboratorio una sola femmina può parassitare in 24 ore oltre 2/3 dell’intera covata dell’ospite e da un solo uovo nasceranno diversi individui di questo minuscolo imenottero. Quest’anno verrà sperimentata l’efficacia dell’insetto in campo e nel 2018 potrà essere allevato nelle biofabbriche per applicazioni dirette di lotta biologica. La tecnologia in questo caso ci aiuterà: il lancio dei contenitori con le uova del parassitoide pronte a schiudere sarà mirato e verrà effettuato nell’area da bonificare, con un volo prestabilito, da un drone, quando le condizioni ambientali saranno più favorevoli allo sviluppo della cimice asiatica. E in questo momento l’invasore sarà più vulnerabile!

Rubrica di Dario n.20: L’importanza di una corretta informazione da parte del professionista

Tra le capacità di un professionista, oltre a quella di sapere affrontare dal punto di vista tecnico le situazioni che possono di volta in volta presentarsi, vi è sicuramente la capacità di comunicare con il cliente e di trasmettergli le informazioni essenziali. Come vedremo, ciò è fondamentale per diversi aspetti.

Il più delle volte, infatti, il cliente finale è una persona del tutto estranea, per competenze ed esperienze professionali, al settore del controllo dei parassiti, e non ha quindi tutti gli strumenti per valutare criticamente le informazioni ricevute. Oltre agli aspetti etici, di certo non trascurabili, non bisogna sottovalutare neppure le implicazioni negative che possono derivare da una scorretta informazione al cliente, sia essa causata da un’effettiva carenza da parte del professionista o, nei casi peggiori, dalla sua malafede.

Il primo aspetto da considerare è quello di evitare di creare eccessive aspettative nel cliente. Infatti, assicurare la risoluzione in breve tempo di un problema non è mai corretto, visto che gli imprevisti sono sempre dietro l’angolo, e anche la situazione più facile può riservare sorprese. Una rassicurazione che spesso capita di sentire riguarda il timore che, in seguito al trattamento, si possano rinvenire animali morti all’interno dell’appartamento. “Non è possibile” – si dice da parte del professionista con tono sicuro – “i roditori si sentono soffocare e vanno a morire all’esterno”. Nulla di più inesatto, visto che non esistono rodenticidi che provocano un senso di soffocamento ai roditori, e neppure di claustrofobia.

Altro aspetto che occorre sottolineare è la pericolosità delle sostanze utilizzate per gli animali non bersaglio e, naturalmente, per gli esseri umani. Alla domanda del cliente sul rischio per il proprio cane, talvolta si sente rispondere che il prodotto contiene una sostanza che lo rende sgradevole agli animali diversi dai topi e dai ratti.

Anche qui, inesatto, ma anche pericoloso, visto che il denatonio benzoato risulta amaro solo per gli esseri umani, non per gli animali domestici, che quindi se ingeriscono l’esca non ne avvertono il sapore sgradevole. In questo caso, tuttavia, a parziale giustificazione del professionista, occorre considerare che tale inesattezza è riportata nero su bianco sull’etichetta del rodenticida (peraltro autorizzata dal Ministero della Salute), ed anche in alcune recenti disposizioni ministeriali.

Infine, un aspetto che viene spesso trascurato è quello delle informazioni riportate sui cartelli di segnalazione affissi in corrispondenza delle postazioni con le esche. Spesso si leggono informazioni assai vaghe sul principio attivo utilizzato, genericamente individuato come “anticoagulante”. Ciò è estremamente incompleto, e potrebbe causare problemi in caso di incidente: nel malaugurato caso in cui un cane dovesse nutrirsi dell’esca, il veterinario non avrebbe le informazioni necessarie per valutare la gravità dell’intossicazione, vista la grande differenza di tossicità dei vari anticoagulanti: ricordiamo che la differenza di tossicità acuta nei confronti del cane che esiste fra warfarin e brodifacoum (in termini di DL 50) è dell’ordine di almeno 100 volte a favore di quest’ultimo! È fondamentale, invece, che sul cartello siano indicati il principio attivo e la sua concentrazione nell’esca.

Tutti questi aspetti inerenti la corretta comunicazione delle informazioni, sebbene spesso trascurati, sono estremamente importanti, e anche tramite essi si misura la capacità professionale degli operatori del settore del pest control.

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