Rubrica di Mauri N.10: Vespe d’autunno

Sembra che il 2018 sia l’anno delle cimici. In questo periodo nugoli di insetti verdi, marroni, rossi, cinesi invadono abitazioni e capannoni, provocando disgusto ed allarme nella popolazione. E se ne parla diffusamente. Ma il caldo che riscontriamo in questo inizio di autunno, soprattutto al Centro-Nord, ha contribuito a mantenere i nidi delle vespe (genere Vespula) ancora in piena attività, con numerose operaie pronte ad entrare in azione se disturbate. Di norma a fine ottobre molte di queste femmine sterili sono già morte e compaiono le prime regine già fecondate, che dovranno svernare. Ma i tempi cambiano….Riscontriamo in questi giorni diversi casi di invasione di negozi e centri commerciali da parte di imenotteri aculeati che, attirati dalle luci artificiali oppure dagli “odori”, entrano dal tetto e dalle fessure nelle pareti, dove hanno costruito il nido, e provocano, in questo caso a ben ragione, allarme e forte disagio. Non è facile per il disinfestatore risolvere velocemente questo problema: gli ambienti sono di grandi dimensioni, c’è tanta gente e l’utilizzo di un insetticida non è sempre agevole ed efficace. Una soluzione semplice e “pulita” è il posizionamento, anche temporaneo e per pochi giorni, di una lampada UVA nel sito da bonificare.
Tutti gli Imenotteri sono molto attirati dai dispositivi luminosi i quali, in questo caso, assumono la funzione di controllo, e non solo monitoraggio. Può capitare che, in un locale infestato, un elettroinsetticida, a griglia oppure con piastra collante, possa catturare durante la notte quasi un centinaio di vespe, contribuendo a risolvere il problema. Come è noto in Italia, oltre alle cimici asiatiche “di questo periodo”, è presente, almeno dal 2009, il calabrone asiatico (Vespa velutina nigrithorax). Fino a pochi anni fa era distribuito soprattutto nel ponente ligure, ma ultimamente, oltre al caso eccezionale di un nido in provincia di Rovigo, ha colonizzato anche la provincia di Spezia e alcuni individui sono stati riscontrati in Toscana. Attenzione a questa specie! Ma fortunatamente il ben più famoso calabrone gigante asiatico (Vespa mandarinia), di cui spesso troviamo segnalazioni anche su internet, non ha ancora raggiunto il nostro paese. L’errata identificazione da parte di “entomologi più o meno esperti” è talvolta legata all’osservazione in natura di grosse femmine di imenotteri solitari innocui come Megascolia maculata flavifrons, dal colore nero e il capo giallo-aranciato, le quali possono assomigliare in maniera superficiale ai grossi calabroni alieni con cui vengono confuse. Ecco ancora una volta come risulta fondamentale il corretto riconoscimento di un parassita!

Rubrica di Mauri N.9: Gli anobidi delle derrate: così simili…..così diversi

Il gruppo dei tarli del legno (famiglia Anobiidae) nel nostro paese è rappresentato da oltre 120 specie e solamente una decina di queste sono in grado di attaccare efficacemente il legno posizionato in opera.

Due specie però hanno fatto il “salto di qualità” e sono diventati infestanti specifici di numerose aziende alimentari: il tarlo del tabacco (Lasioderma serricorne) e il tarlo del pane (Stegobium paniceum). Questi due piccoli coleotteri sono molto simili morfologicamente, ma con un po’ di esperienza si giunge ad un’identificazione corretta: il tarlo del pane presenta sulle elitre una evidente striatura longitudinale e la “clava antennale” è costituita da tre caratteristici segmenti terminali, mentre il tarlo del tabacco ha le elitre lisce e le antenne dentellate sono costituite da pezzi tutti uguali.

Le dimensioni degli adulti, che variano fra 2-4 mm, dipendono dalla temperatura, umidità e qualità del cibo durante lo sviluppo larvale. Molte derrate “secche” sono infestate da questi parassiti: prodotti che derivano dalla filiera dei cereali (semi, farina, pasta, biscotti, ecc.), cibo per animali, spezie ed erbe di interesse erboristico, frutta secca, ecc. Sono spesso presenti anche nei musei, dove rovinano erbari, insetti spillati e persino animali imbalsamati.

Il lasioderma, come indica il nome in italiano, è un pericoloso parassita del tabacco, mentre lo stegobio sembra avere una preferenza per “i prodotti medicinali” e non esita ad attaccare anche legni morbidi e rilegature di libri. Ottimi volatori, sono attirati dalla luce ultravioletta degli elettroinsetticid, dove vengono catturati in gran numero. In particolare Lasioderma serricorne, in base ad alcuni studi in laboratorio, comincia a volare ad una temperatura di circa 20°C. In realtà tutti gli individui maschi, “giovani e vecchi” svolgono questa attività al di sopra dei 22°C, mentre la maggior parte delle femmine lo fanno ad almeno 25°C, anche se questi dati in alcuni contesti ambientali non sembrano confermati. Il volo, anche a temperature, adeguate, non è sempre indispensabile!

Perché allora a questo punto sarebbe così importante separare fra loro gli “Anobidi delle derrate” ed essere in grado di riconoscerli in maniera corretta? Come molti insetti che da adulti hanno una vita piuttosto breve (poche settimane) la femmina emette nell’ambiente un feromone per attirare il maschio. Quello del lasioderma (“serricornin”) è stato sintetizzato in laboratorio ed è diventato un ottimo strumento di monitoraggio l’utilizzo di un erogatore di questa sostanza inserito all’interno di una trappola specifica. Al contrario, la componente principale dei feromoni sessuali dello stegobio (“stegobinone”) presenta una struttura chimica complessa e la produzione in quantità per scopi applicativi è piuttosto problematica. Non è chiaro quale attrattivo commerciale, prodotto da poche aziende, è disponibile sul mercato internazionale e purtroppo risulta generalmente poco efficace, talvolta addirittura ha caratteristiche di repellenza. Quando reperibile, addirittura una “capsula” che eroga il feromone sessuale di Anobium punctatum (tarlo comune) risultava più performante.

In conclusione abbiamo conosciuto due specie simili, ma che sono attirate da sostanze con caratteristiche molto differenti!

Forse però le cose stanno cambiando. Un’azienda giapponese ha sponsorizzato qualche tempo fa un prodotto contenente un “feromone mimico” (simile chimicamente all’originale) per Stegobium paniceum, da inserire in un’apposita trappola. E recentemente un importante gruppo inglese indipendente di consulenza nel settore del Pest Control ha deciso di testare questo attrattivo sul campo per catturare gli adulti di questa specie, utilizzando però un altro modello di trappola (Demi-Diamond).

Le trappole – a coppie di 10-15 per sito, una contenente l’attrattivo e l’altra senza (testimone) – sono state posizionate in una panetteria industriale, un’azienda che produce cibo per animali, un locale dove è conservato un importante erbario. Dopo 4-6 settimane sono state controllate e analizzate le catture. E i risultati si sono rivelati molto interessanti, con circa 300 individui trappolati nei cartoncini collanti innescati.

Di conseguenza l’utilizzo di questo specifico strumento potrebbe aiutare in futuro il tecnico della disinfestazione ad individuare i focolai di questa specie, spesso nascosti e difficili da individuare, anche con ispezioni visive, in siti complessi e di grandi dimensioni. In questo modo anche il tarlo del pane diventerà un parassita delle derrate più facile da gestire e potrà essere inserito in un chiaro programma di monitoraggio.

Rubrica di Mauri N.8: Grilli…vicini di casa

Forse a nessuno interessa sapere a quale specie di grillo appartenga quello rimasto intrappolato nel cartoncino collante che è stato posizionato a terra, per monitorare i famosi “striscianti”. Tantomeno al nostro cliente finale. Tuttavia questi ortotteri, insieme ad altri insetti, sono al centro dell’attenzione perché dal prossimo anno, grazie ad alcuni specifici regolamenti europei dell’EFSA (agenzia europea per la sicurezza alimentare), potranno essere utilizzati per l’alimentazione umana oppure trasformati in proteine animali per la produzione di mangimi. Senza entrare in dettaglio sulle procedure ancora da definire per un allevamento proficuo ed adeguato di “insetti da reddito”, cerchiamo di conoscere più i dettaglio i grilli che frequentano gli ambienti antropizzati e le aree coltivate.

Tutti conoscono il grillo canterino (Gryllus campestris), nero con la parte anteriore delle tegmine (ali anteriori) macchiate di giallo e che frequenta i margini dei campi coltivati, i prati, le aree incolte con bassa vegetazione. Costruisce una galleria lunga 20-25 cm e dal diametro di circa 2 cm: in primavera, i maschi, territoriali, all’ingresso di questa tana spoglia e priva di erba cantano ininterrottamente per conquistare le femmine. Queste poi depongono alcune centinaia di uova e le forme giovanili svernano all’interno di profondi cunicoli. Nel centro e sud Italia è presente un insetto molto simile (Gryllus bimaculatus), che non costruisce un rifugio nel terreno, ma, grazie alle abitudini meno sedentarie, può percorrere in volo distanze di diversi chilometri!

A differenza di queste specie, non così comuni negli ambienti urbani, il grillo nero (Melanogryllus desertus), leggermente più piccolo e con forme giovanili caratterizzate da una pubescenza più chiara, verso la fine dell’estate può invece creare esplosioni demografiche in molte zone della pianura padana. Questo insetto, presente in tutta Italia tranne che in Sardegna, frequenta le aree incolte e agricole dove si nasconde fra le zolle, nelle fessure e nelle crepe. Durante i periodi più favorevoli, parecchi individui penetrano in gran numero all’interno di abitazioni e capannoni, e questo rappresenta uno dei pochi casi in cui può essere necessario un trattamento chimico per il loro contenimento.

Un’altra specie, dal nome impronunciabile (Eumodicogryllus bordigalensis), frequenta i campi, gli orti, i giardini, spesso comune anche nei marciapiedi e nei tombini. Di colore marrone più o meno chiaro, generalmente si distingue da una banda chiara fra le antenne e da quattro linee longitudinali giallastre sul capo. Attirato dalle luci, entra nelle abitazioni e nei locali, dove spesso viene confuso con il classico grillo del focolare (Acheta domesticus). Bruno giallastro, con una mascherina nera fra gli occhi e due macchie scure sul pronoto, il grillo “della favola di Pinocchio” è prettamente legato agli ambienti umani, umidi e bui, dove consuma derrate alimentari e sostanze organiche di origine animale e vegetale. Talvolta può rovinare materiale vario come carta, pellame, vestiti, ecc. Fondamentalmente non è un insetto dannoso ed è sempre stato in compagnia dell’uomo, ma ultimamente è quasi sparito dalle abitazioni, sostituito, procedendo verso nord nella nostra penisola, da Gryllomorpha dalmatina, attera e con macchie scure ben evidenti sul corpo e sulle zampe posteriori. E questo grillo…non canta! Infine ricordiamo un piccolo ortottero, (Stenonemobius gracilis), considerato raro e localizzato in varie parti d’Italia. Biologia quasi sconosciuta, eppure nelle notti più calde, questo minuscolo grillo, lungo meno di 1 cm e dalle ali posteriori particolarmente sviluppate, si trova abbastanza comunemente, almeno in certe aree dell’Emilia Romagna, nelle case e sulle piastre collanti delle lampade UVA, attirato dalle luci artificiali.

Tutti questi insetti, apparentemente banali e considerati parassiti occasionali, risultano in realtà affascinanti, sono poco conosciuti e durante la bella stagione ci rallegrano con il loro canto melodioso…prodotto dallo specifico sfregamento delle tegmine.

Teniamoli perciò un po’ in considerazione anche quando li gettiamo via con le colle!

Rubrica di Mauri N.7: Millepiedi o… centopiedi?

“Ho notato in questi giorni numerosi vermetti scuri che si muovono sui muri ed entrano in casa. Si arrotolano e hanno cattivo odore. Come posso risolvere il problema?”

Quanti disinfestatori avranno risposto a queste chiamate! In realtà non si tratta di larve, ma di un’invasione di millepiedi, soltanto “lontani parenti” degli insetti. Millepiedi e centopiedi non sono naturalmente la stessa cosa! Appartengono entrambi al gruppo dei Miriapodi, ma a due classi diverse: i primi sono Diplopodi, i secondi Chilopodi.

Non è poi così difficile distinguerli ad un occhio attento: i millepiedi ad esempio hanno un corpo rotondo, cilindrico, e sono dotati di moltissime zampette ventrali (fino a più di cento paia), due per ogni segmento. Generalmente i “millezampe” vivono nel terriccio umido, sotto le pietre e il legno marcescente, nutrendosi di materiale vegetale in decomposizione, di radici, addirittura di foglie verdi in contatto con il terreno, frutti caduti e, in casi particolari, di deiezioni animali e invertebrati morti. Se disturbati, si arrotolano a spirale su se stessi e tramite particolari ghiandole possono produrre sostanze repellenti e maleodoranti. Le loro abitudini sono poco conosciute e spesso passano inosservati in quanto prettamente notturni. Un elevato tasso di umidità è fondamentale per la loro sopravvivenza a causa di una cuticola particolarmente permeabile. Le uova, dopo la fecondazione interna, vengono deposte in un ammasso nel terreno talvolta in una specie di camera preparata dalla femmina stessa. Dopo la schiusa, la larva mobile possiede solamente 3 paia di zampe. Durante ogni muta (7-10 fino allo stadio di adulto) il numero di zampe e di segmenti tende ad aumentare, variando da specie a specie. La maturità sessuale viene raggiunta dopo 1-2 anni, talvolta anche dopo 4-5. In Italia le specie più comuni, anche se di difficile identificazione (Ordine: Julida, Polydesmida, Glomerida, Polyxena), sono lunghe anche qualche centimetro.

Una caratteristica di questi animali del suolo, nota in tutto il mondo, è la capacità di migrare e creare enormi agglomerati di individui: negli ambienti urbani si ritrovano sui muri in calcestruzzo, sui piloni, sui marciapiedi e sulle pareti esterne di case e magazzini. Pensate che in Giappone ne hanno stimati fino a 15.000 per metro quadro! Le ragioni di queste invasioni sono spesso sconosciute, anche se talvolta sono legate a condizioni ambientali avverse come forti precipitazioni, ricerca di un ambiente più favorevole per passare l’inverno o la stagione estiva, modifica dell’habitat a livello locale. In ogni caso i picchi di attività si evidenziano in autunno e in primavera, talvolta anche in estate.

Non è facile risolvere queste problematiche, anche se la manutenzione del verde può prevenire o ridurre le infestazioni. Ammassi di foglie, legno e potature della vegetazione devono essere rimossi in quanto potenziali rifugi e allo stesso tempo vanno evitati ristagni d’acqua che si formano durante le fasi di irrigazione del giardino.

Se tuttavia i nostri “amici” diventano particolarmente abbondanti, i piretroidi residuali risultano particolarmente efficaci per le applicazioni sul perimetro esterno dell’edificio, sui muri e all’interno di cavità, fori, fessure nel cemento, rifugi ideali per questi invertebrati che non amano la luce. In presenza di lettiera compatta e detriti organici, il prodotto insetticida difficilmente riesce a penetrare al di sotto di questi substrati per colpire gli esemplari che qui si sono nascosti. Nelle abitazioni, in caso di colonizzazioni, se gli infestanti non muoiono velocemente perché disidratati, è importante trattare ambienti umidi come seminterrati, intercapedini, battiscopa, stanze da bagno, ecc.

I millepiedi sono sempre stati considerati innocui, ma alcune ricerche piuttosto recenti hanno evidenziato che potrebbero avere anche un’importanza sanitaria in quanto nel loro intestino sono state identificate diverse specie di Batteri patogeni opportunisti, in grado di provocare infezioni soprattutto nelle categorie di persone più deboli e negli immunodepressi.

Rubrica di Mauri N.6: Fin dove arriverà la cimice asiatica…

Ci risiamo. Un altro insetto “alieno” che non fa parte della fauna italiana sta invadendo il nostro paese. Si tratta della famosa cimice asiatica – detta anche “cimice marmorizzata bruno-grigia” – (Halyomorpha halys) e tutti la descrivono come un flagello per l’agricoltura! Originaria dell’Asia orientale, ha velocemente invaso gli Stati Uniti, il Canada e buona parte dell’Europa Centrale ed Orientale. Per caso è stata scoperta nel 2012 in provincia di Modena (dal gruppo di ricerca coordinato dalla Prof.ssa Lara Maistrello dell’Università di Modena-Reggio Emilia che se ne sta occupando) e in pochi anni ha conquistato tutto il Nord Italia, con sporadiche segnalazioni nelle regioni del Centro. Addirittura nel 2016 è arrivata in Sardegna. Anche il disinfestatore se ne è accorto: fra le classiche cimici verdi e marroni che si insediano in autunno in prossimità di finestre, porticati, magazzini e abitazioni private, ce ne sono altre, più strane, che formano ammassi di centinaia di individui. Questa specie si distingue più in dettaglio per la presenza di macchiette “bianco-giallastre” su pronoto e scutello, linee scure sulle membrane alare, bande chiare su antenne e zampe. Naturalmente i trattamenti con formulazioni microincapsulate/sospensioni concentrate a base di piretroidi sono efficaci anche per questi parassiti.

Il problema principale però è legato alla capacità di questi “Rincoti Pentatomidi” di attaccare numerose piante coltivate (cereali, ortive, alberi da frutta), ornamentali e spontanee. Adulti e forme giovanili, quest’ultime caratterizzate da spine ai lati del capo e del torace, tendono a pungere specialmente i fiori e i frutti della vegetazione ospite, determinando danni rilevanti al loro sviluppo naturale e maturazione. Si stima che nelle regioni settentrionali oltre il 40% della produzione di pere e kiwi abbia subito gravi perdite, ma problemi sono stati osservati anche su mele, pesche, susine, kaki, uva, pomodoro, noci e nocciole, soia e mais, ecc. In Europa si osserva un’unica generazione all’anno, mentre in Italia sono nella norma due generazioni di sviluppo. Ad aprile gli adulti svernanti tornano in attività e nel mese successivo vengono deposte alcune centinaia di uova.

Il timore principale è che la specie possa insediarsi anche negli ecosistemi mediterranei, con il rischio alle coltivazioni tipiche di questi ambienti: in Francia e Grecia è già presente, nella penisola Iberica è appena stata segnalata e…in Italia meridionale e Sicilia la stanno aspettando! Gli scambi commerciali e il trasporto passivo dei viaggiatori, sembra con i loro bagagli, contribuiscono all’espansione di questa specie, in quanto è stato dimostrato con analisi del DNA che si possono avere episodi invasivi successivi, con origine diversa.

In campo agrario l’infestante viene monitorato con trappole a feromoni di aggregazione e controllato, per quanto possibile, con reti anti-insetto e prodotti chimici fitosanitari. E si spera che qualche predatore naturale possa fermare la sua avanzata. Intanto è stato individuato un parassitoide specifico, dal nome impronunciabile (Ooencyrtus telenomicida), lungo meno di 1 mm e in grado di attaccare le uova della cimice. In laboratorio una sola femmina può parassitare in 24 ore oltre 2/3 dell’intera covata dell’ospite e da un solo uovo nasceranno diversi individui di questo minuscolo imenottero. Quest’anno verrà sperimentata l’efficacia dell’insetto in campo e nel 2018 potrà essere allevato nelle biofabbriche per applicazioni dirette di lotta biologica. La tecnologia in questo caso ci aiuterà: il lancio dei contenitori con le uova del parassitoide pronte a schiudere sarà mirato e verrà effettuato nell’area da bonificare, con un volo prestabilito, da un drone, quando le condizioni ambientali saranno più favorevoli allo sviluppo della cimice asiatica. E in questo momento l’invasore sarà più vulnerabile!

Rubrica di Mauri N.5: Scorpioni e pseudoscorpioni

È quasi inverno. In questi giorni è difficile pensare ad aracnidi come gli scorpioni, simbolo di ambienti caldi e deserti, eppure in qualche abitazione qualcuno li ha notati! Qualche segnalazione in Centro Italia è stata fatta addirittura all’esterno, sui muri e in prossimità del tetto. Non è così strano in quanto con le basse temperature rallentano semplicemente il metabolismo, e diventano attivi di notte, muovendosi alla ricerca di piccole prede. Hanno otto zampe, una “coda” con l’aculeo del veleno e un paio di grosse chele (pedipalpi) con le quali spesso catturano piccoli invertebrati come collemboli, “pesciolini d’argento”, grilli, blatte, piccoli ragni, “porcellini di terra” (crostacei oniscidi), trattenuti e poi sminuzzati da 2 piccole appendici (cheliceri) situate in prossimità della cavità orale.

Questi cacciatori possono fare anche un pasto alla settimana o digiunare per mesi; utilizzano l’apparato del veleno soprattutto a scopo di difesa e per immobilizzare grossi insetti.

In Italia, dopo complesse analisi genetiche, e morfologiche, sono state individuate numerose specie appartenenti al genere Euscorpius (per alcuni ricercatori almeno 13!), di difficile identificazione e lunghe dai 2 ai 6 cm. Alcune hanno addirittura una distribuzione piuttosto limitata: una specie vive nell’isola di Montecristo e un’altra in provincia di Napoli, isole comprese!

I giovani sono generalmente di colore chiaro, mentre gli adulti possono variare dal nero al marrone molto scuro, anche se alcune popolazioni sono di colore giallastro. Gli accoppiamenti avvengono in primavera/estate: dopo una gestazione di 7-13 mesi, la femmina “partorisce” 5-30 piccoli, biancastri e lunghi pochi mm. La madre li trasporta sul dorso per diversi giorni, fino al completamento della seconda muta. Quindi i giovani si allontanano e raggiungono la maturità sessuale dopo 1-2 anni. Durante il giorno si nascondono negli anfratti bui e umidi degli ambienti naturali, ma diverse specie frequentano con successo gli ambienti urbani, colonizzando in particolare legnaie, muretti a secco, fessure di abitazioni antiche, scantinati, infissi vetusti di porte e finestre, massi e legname umido a contatto con il terreno. Generalmente sono timidi, inoffensivi e tendono a fuggire; solamente in pochi casi possono pungere. Se ciò accade, il dolore è piuttosto intenso, come quello di una puntura di un’ape o di una vespa, ma raramente si possono riscontrare sintomi più seri.

In presenza di una infestazione, è necessario bonificare prima di tutto l’ambiente esterno, eliminando ed allontanando i potenziali rifugi degli scorpioni come materiale accatastato, pietre, rami e cortecce Un trattamento chimico (formulazioni: microincapsulati/sospensioni concentrate) sul perimetro, in crepe, cavità e su parte dei muri, fino ad un’altezza di 1-2 m, permetterà di risolvere o minimizzare nel tempo il problema. All’interno dei locali, oltre a disinfestazioni mirate nelle aree critiche e all’utilizzo di fumogeni e/o bombolette autosvuotanti, se gli individui sono presenti in numero limitato possono essere posizionate delle semplici trappole a colla lungo i potenziali passaggi e in prossimità degli accessi con l’area esterna.

Pochi invece conoscono gli pseudoscorpioni, appartenenti alla fauna tipica del suolo. Sembrano scorpioni in miniatura (1-8 mm), ma sono privi della “coda” e dell’aculeo.

Sono eccellenti predatori di minuscoli artropodi come larve, acari, collemboli, psocotteri e, anche se sfuggono alla vista, non è così raro scoprirli negli ambienti domestici e in qualche azienda alimentare. Ad esempio Chelifer cancroides e Chthonius sp. si trovano sovente nelle abitazioni, in punti molto umidi come i bagni, sotto vecchi giornali e nei nidi di piccoli volatili, mentre Cheiridium museorum, anche se si riscontra in ambienti simili, non disdegna vecchie biblioteche e collezioni museali.

Diversi anni fa alcuni studi del Dipartimento di Scienze e Tecnologie dell’Università di Catania avevano evidenziato all’interno di vecchi magazzini contenenti grano rovinato e in cattive condizioni igieniche numerosi individui di Withius piger, i quali predavano soprattutto larve di tribolio. Un altro curioso comportamento di questi inoffensivi cacciatori è quella di spostarsi da un sito all’altro utilizzando come mezzo di trasporto insetti (ditteri, coleotteri, imenotteri), mammiferi ed uccelli. Di fatto sono come autostoppisti che, senza farsi notare e “aggrappandosi” con le loro appendici, si fanno dare un passaggio su lunghe distanze!

Rubrica di Mauri N.4: Una coccinella da tenere sott’occhio

Probabilmente nessuno ucciderebbe una coccinella. Porta sfortuna! Rappresenta un simbolo religioso! È utile in agricoltura perché controlla tanti insetti dannosi! Eppure in Italia è presente una specie, Harmonia axyrydis, che sta creando più danni che benefici. Indicata volgarmente come “la coccinella arlecchino”, gli esemplari della stessa popolazione possono avere una colorazione di fondo molto diversa fra loro (gialla, arancione, rossa, nera) così come risulta estremamente variabile la disposizione e il numero delle macchie sulle elitre. Gli adulti vivono di solito 30-90 giorni (in alcuni casi addirittura 3 anni) e generalmente, alle nostre latitudini, sono presenti 2 generazioni all’anno. La larva matura si riconosce per due strisce arancioni presenti sulla parte dorso-laterale dell’addome.

Come al solito la colpa è dell’uomo. Di origine asiatica, è stata utilizzata in passato come insetto utile per la distruzione di parassiti fitofagi, e anche in Nord Italia, verso la fine degli anni 90, ha fatto la sua apparizione, con lanci continui di individui allevati per la lotta biologica nei confronti degli afidi. Purtroppo ben presto ci si è accorti che questa specie, fra le più grandi della famiglia (5-8 mm di lunghezza), non si accontentava di “pidocchi delle piante” ma, particolarmente aggressiva, predava altri piccoli invertebrati, comprese alcune specie di coccinelle, e contribuiva all’impoverimento della biodiversità. Tenete in considerazione che nel nostro paese vivono oltre 130 fra specie e sottospecie di Coccinellidae.

Le prime popolazioni “naturalizzate” sono state rinvenute nel 2006 in Piemonte e grazie alla sua elevata capacità di dispersione, in meno di 10 anni questo coleottero, utilizzando anche il trasporto passivo, ha colonizzato tutta la nostra penisola, comprese le isole e il sud Italia. Più veloce della zanzara tigre! Ebbene questa coccinella è considerata a livello globale fra le cento specie invasive più pericolose e, oltre ad eliminare qualche insetto endemico sconosciuto alla maggior parte delle persone, è in grado di creare problemi anche in ambiente urbano. Negli ultimi anni, alla fine dell’estate-inizio autunno, sono sempre più comuni grossi addensamenti di questa specie che, per superare l’inverno, tende a colonizzare le cortecce di alberi e arbusti di parchi e giardini, le crepe fra i muri e le pietre, i porticati e i balconi, le intercapedini delle finestre, le abitazioni. Il fastidio di questi raggruppamenti è legato al fatto che centinaia, talvolta migliaia di individui, se disturbati oppure per difendersi, emettono dalle articolazione delle zampe un particolare essudato di colore marrone-rossastro (emolinfa) che, oltre ad avere un odore nauseabondo, macchia in maniera irreversibile le superfici e i tessuti con cui viene in contatto. E non è finita: questa sostanza contiene allergeni i quali, nelle persone più sensibili, possono provocare riniti, asma, congiuntiviti, orticarie. Se manipolati, questi insetti mordono gli esseri umani, seppur leggermente, e, quando si riuniscono nei vigneti, attorno ai grappoli d’uva maturi, potrebbero perfino determinare un danno economico, con relativo deprezzamento del vino stesso.

In conclusione un suggerimento ai disinfestatori: se un giorno qualcuno vi contatta per un problema di coccinelle, non mettetevi a ridere! Programmate un sopralluogo e, se l’infestante è la coccinella arlecchino, non abbiate remore: fate il vostro dovere e magari, questa volta, anche l’ambiente avrà un piccolo giovamento. E non vi porterà sfortuna!

Rubrica di Mauri N.3: Carabidi in città

Le trappole per il monitoraggio delle blatte non sono generalmente selettive, per cui capita spesso di catturare altri artropodi, meno pericolosi, ma che vanno opportunamente segnalati specialmente se lavoriamo in un’area sensibile (aziende alimentari, ospedali, scuole, alberghi). Non è difficile trovare degli insetti scuri, più o meno allungati, dai colori talvolta metallici, con sottili mandibole affilate e che all’occhio del profano vengono scambiati per scarafaggi. Attirati soprattutto dalle luci artificiali, questi insetti notturni penetrano all’interno delle strutture, provocando disagio e preoccupazione nelle persone. In realtà si tratta di coleotteri Carabidae, senza alcuna importanza dal punto di vista igienico-sanitario, e che svolgono la loro attività di predatori a livello del suolo, anche in prossimità degli ambienti urbanizzati. Si nascondono nel terriccio umido, sotto le pietre, in mezzo alla vegetazione. In ambiente naturale la vita di un adulto è di solito inferiore a un anno.

Nel nostro paese sono presenti oltre 1300 specie, ma nelle aree agricole, nei giardini, nei parchi e negli incolti risultano dominanti pochi gruppi. Pterostichus sp., Carabus coriaceus, C. picenus, C. germarii sono grossi coleotteri carnivori ormai poco comuni negli ambienti urbani, mentre sono sempre più abbondanti quelle specie che si sono adattate ad una dieta vegetariana, un’eccezione per questo ordine di coleotteri.

Ad esempio Zabrus tenebriodes, lungo poco meno di 2 cm, è un tipico infestante dei campi di cereali coltivati: gli adulti erodono le cariosside in fase di maturazione, mentre le larve possono rovinare le piantine più giovani e le parti verdi delle foglie. Nelle nostre città le infestazioni sono legate soprattutto al genere Amara (in particolare modo A. aenea) e al gruppo degli “harpalini” (genere Harpalus, Pseudophonus, Ophonus, ecc.). Questi insetti, caratterizzati da un’alimentazione prettamente oppure parzialmente granivora, presentano delle mandibole corte, tozze e smussate, utili per questo tipo di dieta, e naturalmente le loro popolazioni possono crescere in maniera esponenziale se sono disponibili grandi quantità di risorse alimentari come semi di Graminacee e Ombrellifere, spontanee o coltivate. Tale particolare adattamento si riflette nel comportamento alimentare delle larve, in grado di trasportare e di “sgusciare” questi vegetali all’interno di gallerie, profonde diversi centimetri, scavate nel terreno.

Una delle specie più conosciute in grado di invadere in estate le nostre abitazioni è Pseudophonus rufipes, nerastro con le zampe rossastre, noto per danneggiare le fragole nei campi in quanto si nutre degli acheni dei frutti, ma capace di consumare anche semi di altro tipo e piccoli invertebrati. Quando le densità diventano particolarmente abbondanti e le risorse alimentari tendono a scomparire, questi carabidi abbandonano i siti naturali e si avvicinano in gran numero, spesso volando, agli ambienti urbanizzati. Ultimamente un altro piccolo insetto, Carterus fulvipes, ha cominciato a colonizzare campi coltivati di ombrellifere da seme e successivamente, con migliaia di individui, tende ad infestare i centri abitati adiacenti: la regione Emilia Romagna, tramite il servizio fitosanitario, ha addirittura prodotto una nota informativa sulle procedure e comportamenti nei confronti di queste particolari invasioni. Infine un’altra specie, bicolore e legata a prati incolti asciutti e di erba medica, Diachromus germanus, in annate favorevoli può creare grossi disagi, quando di sera, in pianura padana, centinaia di individui cercano di entrare nelle abitazioni vicine. È difficile prevedere queste oscillazioni numeriche di anno in anno, poiché le variabili ambientali (temperature ed umidità, parassiti, predatori, risorse alimentari, ecc.) sono numerose e le interazioni particolarmente complesse. In ogni caso il disinfestatore deve identificare l’infestante, rassicurando il cliente sull’assenza di eventuali rischi sanitari. Poi, se necessario, per diminuire le densità dei coleotteri, effettuerà un trattamento chimico lungo il perimetro e i muri esterni della struttura con formulazioni a base di piretroidi residuali, creando una specie di barriera e tenendo in considerazione che l’infestazione potrà semplicemente essere attenuata, ma non risolta. E come al solito nel tempo ritornerà l’equilibrio, e non sarà per merito nostro!

 

 

 

Rubrica di Mauri N.2: Cacciatrici solitarie…

Parliamo di vespe. Ma non di quelle che vivono in grandi società ordinate e aggressive come calabroni, polisti, vespule, quanto piuttosto di alcuni gruppi di imenotteri aculeati che cacciano le prede in solitudine per fornire il cibo alle proprie larve. All’interno della famiglia degli Sfecidi, si riconoscono facilmente le femmine del genere Sceliphron, insetti allungati con il corpo nero macchiato di giallo, sempre in movimento e che costruiscono i loro nidi di fango e argilla nei punti più strani e bizzarri degli ambienti urbanizzati. In Italia sono presenti 5 specie di queste vespe muraiole dalle abitudini simili, anche se due di queste risultano aliene e in grado di colonizzare il nostro paese già negli anni 90. Una, S. caementarium, è originaria del Nord e Centro America, l’altra S. curvatum, proviene dall’india e dall’Asia centrale. Non si sa bene come sono arrivate da noi, ma molto probabilmente i loro nidi erano attaccati a materiali provenienti da questi lontani paesi. I più temerari fra i disinfestatori avranno provato a staccare queste “celle pedotrofiche” dalle pareti e, incuriositi, rompendo lo strato di fango, si saranno trovati in mano….un pugno di ragni paralizzati! Le madri infatti vanno alla ricerca continua di questi aracnidi, li pungono con l’aculeo velenoso e li trasportano al nido, dove diventeranno cibo fresco per le larve, di colore giallastro. Alcuni studi hanno evidenziato che esistono delle preferenze alimentari, a livello specifico e di dimensioni delle prede. Generalmente vengono catturati ragni di dimensioni medie (4-7 mm di lunghezza) e che hanno un’attività “aerea” in quanto producono la classica ragnatela oppure si nascondono e stazionano sulla vegetazione (fiori, foglie, cortecce). I ragni prettamente “terricoli”, come ad esempio le licose (tarantole) vengono invece ignorati, anche se abbondanti, probabilmente perché difficili da catturare e particolarmente aggressivi. Gli Sceliphron possono pungere, come tutti gli aculeati, ma questo capita di rado e solamente se pesantemente infastiditi e/o manipolati.

Talvolta nei giardini, nei parchi, oppure lungo il margine dei boschi e nelle spiagge ancora seminaturali si osservano delle grosse vespe nere con macchie e strisce giallo/arancio che possono provocare disagio e paura nelle persone che non conoscono questi insetti. Si tratta di imenotteri della famiglia Scoliidae, che raggruppa in Italia oltre una decina di specie, tipiche soprattutto di ambienti caldi mediterranei. I maschi sono più piccoli, con antenne piuttosto lunghe, mentre le femmine, con il capo molto più grosso, possono raggiungere la lunghezza di alcuni cm. Le femmine del genere Megascolia possono superare i 5 cm e sono le vespe più grandi d’Europa: vengono chiamate volgarmente “vespa mammuth”, anche perché, oltre alle dimensioni, sono insetti docili e poco aggressivi, nonostante siano munite di un pungiglione importante. Quindi non dobbiamo preoccuparci se le scorgiamo perlustrare il terreno oppure alimentarsi di polline e nettare sulle infiorescenze, con preferenza per quelle di colore azzurro, blu, violaceo! Sono impollinatori di alcune specie di fiori e addirittura una orchidea selvatica che cresce in Sicilia e in Sardegna, simulando l’odore e la “forma dell’addome” di una femmina della specie Dasyscolia ciliata, è in grado di ingannare il povero maschio il quale, cercando di accoppiarsi, permette invece l’impollinazione alla pianta: nell’Italia peninsulare, dove non è presente questo particolare insetto, l’orchidea si riproduce solamente per via vegetativa.

In realtà il ruolo ecologico di questi imenotteri di grandi dimensioni è la ricerca e cattura nel sottosuolo di larve di grossi coleotteri (scarabeo rinoceronte, cetonie, cervo volante, “maggiolini”, ecc.). Una volta individuata la preda, la vespa, con l’aiuto delle grosse mandibole, scava nel terreno e punge l’ospite, sul quale, ormai paralizzato, depone un uovo: anche in questo caso la larva che schiuderà avrà un pasto sicuro e completo.

È chiaro, da queste brevi informazioni, che le vespe solitarie non sono “pane per i denti” di un disinfestatore professionale, il quale ha il compito di rassicurare il cliente sui reali rischi – praticamente nulli oppure limitati a particolari circostanze – di essere punti. E questi insetti, se non molestati, continueranno a svolgere in natura la loro attività, senza interferire con la vita di tutti i giorni degli essere umani.

Rubrica di Mauri N.1: Muri di primavera

Con l’inizio della primavera, quando le giornate non sono ancora troppo calde e il disinfestatore comincia a programmare la sua attività, non è difficile incontrare sui muri e sui tetti ancora umidi alcuni artropodi poco conosciuti, ma che in alcuni casi possono creare fastidio alle persone, mettendo in allarme i proprietari degli stabili. Generalmente i “bruchi sui muri”, pelosi e con notevole capacità di spostamento, appartengono alla famiglia degli Arctiidae (Sottofamiglia Lithosinae). Gli adulti sono farfalle anonime, con colori omogenei, dal grigio al giallastro, che a riposo tengono le ali anteriori, strette ed allungate, molto aderenti al corpo, dando l’impressione di trovarsi di fronte a piccoli bastoncelli di legno. La specie più comune del nostro paese è Eilema caniola che in questi ultimi anni ha evidenziato esplosioni demografiche: le larve, caratterizzate da una serie di tubercoli giallastri circondati da ciuffi di brevi peli, con proprietà moderatamente urticanti sulla pelle, possono arrampicarsi a centinaia sulle pareti esterne delle abitazioni, talvolta penetrando anche all’interno delle case dei centri storici. Questo problema si può osservare soprattutto in luglio – agosto, nei periodi più caldi, ma negli ultimi anni è stato segnalato anche in aprile, con le larve che hanno trascorso l’inverno alla ricerca di un ambiente idoneo per impuparsi e per dare origine, nel mese di maggio, alla prima generazione. La specie in questione, come la altre del gruppo, si nutre di licheni che crescono sulle rocce, sui muri, sui tetti. Di conseguenza queste invasioni sono legate ai parametri ambientali come temperatura ed umidità che agiscono direttamente sulle larve, presenti in microhabitat difficili, oppure sullo sviluppo delle piante nutrici.

Un altro insetto che trascorre l’inverno nascosto in fessure, anfratti sui tronchi, nel terreno, e talvolta nelle abitazioni, è un piccolo coleottero crisomelide, Galerucella luteola, di colore giallastro con alcune caratteristiche striature scure. Verso aprile-maggio gli adulti, lunghi 6-8 mm, lasciano in massa i rifugi invernali, divenendo così particolarmente visibili per raggiungere le piante di cui si nutrono come olmi e salici. Qui si accoppiano e depongono le uova. Le larve, molto voraci, raggiungono la maturità in 15-20 giorni. Durante l’estate compare le seconda generazione, seguita talvolta da una terza in autunno. E sono proprio questi individui a creare scompiglio nelle aree urbane.

Inoltre con i primi caldi i terrazzi, i sottotetti, i davanzali, i lucernari, vengono colonizzati da piccoli organismi rossi, lunghi 1-1,5 mm, molto veloci ed estremamente fastidiosi soprattutto perché se schiacciati macchiano irreversibilmente pareti, vestiti, tessuti. Sono acari (Balaustium murorum) predatori di minuscoli invertebrati che si sviluppano su muschi e licheni aderenti ai tetti, nelle caditoie, nelle fessure dei muri, ecc. La loro comparsa è legata alle superfici riscaldate dal sole; con il sopraggiungere dell’ombra spariscono, apparentemente svaniti nel nulla, per poi ricomparire quando le condizioni favorevoli si ripresentano. In Italia risultano inoffensivi, mentre in altre regioni possono pungere l’uomo, provocando reazioni cutanee più o meno evidenti.

Sempre in questo periodo troviamo invece degli insetti di colore rosso acceso, con puntini neri, che si nascondono nelle fessure e in mezzo alla vegetazione dei giardini. Si tratta di forme giovanili della cimice rossa e nera, Pyrrhocoris apterus, che quando raggiunge la maturità presenta il dorso simile a “una maschera tribale africana”.

Non è facile controllare gli “infestanti dei muri esterni”, proprio a causa dei particolari ambienti frequentati e delle popolazioni particolarmente abbondanti. I trattamenti con insetticidi residuali possono tamponare il problema, ma difficilmente lo risolvono. È preferibile essere chiari con il cliente, senza promettere i miracoli. Anzi, certe volte risulta più utile parlarne, accennando alle problematiche e alla biologia delle specie, piuttosto che intervenendo chimicamente. Potenzialmente otterremo dei vantaggi significativi di immagine che a lungo termine si potranno trasformare in risorse economiche. D’altra parte questi piccoli invertebrati, così come sono apparsi, altrettanto improvvisamente tenderanno a scomparire e a non interferire più (almeno per un po’!) con le attività umane di tutti i giorni.