Rubrica di Dario – N.4: Come scegliere il principio attivo (Seconda e ultima parte)

Gli anticoagulanti presenti oggi sul mercato sono sostanze molto affini, sia nella struttura chimica che nel meccanismo d’azione. Tuttavia, presentano caratteristiche assai diverse, sia in termini di tossicità per le specie bersaglio e non bersaglio, sia di possibilità di sviluppo della resistenza, e la conoscenza di tali aspetti è il presupposto essenziale dell’attività di un professionista del pest control. Non è superfluo rilevare che la differenza fra un professionista e un utente occasionale, ad esempio un agricoltore, è proprio nella capacità di discernere le differenze fra le varie sostanze, conoscendone pregi e difetti, e valutandoli a seconda del contesto in cui si opera.

Per orientarci nella loro scelta, dobbiamo valutare tre diversi aspetti:

1) efficacia contro le specie bersaglio

2) rischi per le specie non-bersaglio

3) possibilità di sviluppo di resistenza

Il primo punto, benché fondamentale, non può tuttavia essere valutato senza considerare il secondo. In sostanza, la scelta del principio va fatta considerando entrambi gli aspetti.

Spieghiamoci meglio. Se io lavoro in un allevamento di maiali o in un giardino nel quale vivono dei cani, o semplicemente in una zona di campagna o in una villa urbana con presenza di rapaci (poiane, falchi, gufi, barbagianni ecc.) o altri predatori di topi e ratti (faine, martore, donnole ecc.), mi devo porre il problema dell’esposizione al rodenticida anche di questi animali, che potrebbero nutrirsi di ratti intossicati. Quindi, dovrò selezionare un principio attivo efficace e nel contempo sicuro.

In tali condizioni, utilizzare brodifacoum o flocoumafen, molto potenti e tossici anche per la fauna non bersaglio, è estremamente rischioso. In queste situazioni, è meglio puntare su rodenticidi meno potenti, come bromadiolone e difenacoum.

Una domanda potrebbe sorgere spontanea: perché non considerare anche i rodenticidi della prima generazione ancora presenti sul mercato (warfarin, coumatetralyl, clorofacinone)? La risposta si articola in questi quattro punti principali:

I. la loro efficacia è significativamente inferiore rispetto ai rodenticidi della seconda generazione;

II. per essere efficaci, necessitano di essere ingeriti per più giorni. Quindi, i quantitativi distribuiti sono maggiori e di conseguenza anche la loro presenza nell’ambiente;

III. questi principi attivi sono a forte rischio di sviluppare resistenza; è questo un problema concreto, da non sottovalutare assolutamente, ed esplicitamente considerato nelle etichette dei rodenticidi.

IV. le formulazioni presenti sul mercato sono ormai pochissime, e la loro reperibilità è difficile.

Rimandando la trattazione dell’argomento ad un articolo specifico, potremmo schematizzare così la questione:

– se il professionista sospetta o è certo della presenza di individui resistenti, allora è bene evitare l’uso di anticoagulanti della prima generazione;

– per quanto riguarda quelli della seconda generazione, quelli ritenuti immuni dal fenomeno sono essenzialmente i tre più potenti, vale dire brodifacoum, flocoumafen e difethialone.

– bromadiolone e difenacoum, invece, sono principi attivi dalle numerose caratteristiche positive (efficacia e tossicità nei confronti delle specie non bersaglio), consigliabili nella maggior parte dei trattamenti. Solo nei casi di comprovata resistenza (dimostrati in alcuni paesi europei), si consiglia quello dei principi attivi più tossici e potenti come brodifacoum e flocoumafen, con l’accortezza di distribuire bassi quantitativi di esca, puntando invece su interventi più frequenti, applicando cioè la distribuzione “ad impulsi”.