Perché esistono le mosche???

di Dr Moray Anderson BSc(Hons), PhD, FRES, CBiol, FIBiol

Come entomologo professionista che si occupa della biologia delle mosche mi viene spesso chiesto: ” Perché esistono le mosche?” Dopo alcuni grugniti arrabbiati sul fatto che le mosche sono state in giro su questo pianeta per molto più tempo degli umani e che io sono certo che molte mosche si chiederanno “perché esistono gli umani?”, mi calmo e provo a dare una risposta più misurata. La maggior parte dei Ditteri, durante le varie fasi del loro ciclo vitale, svolgono una funzione vitale nella distruzione di diversi organismi morti, resti vegetali, letame e altro materiale organico in decomposizione.

Se si prendono in considerazione i cicli vitali di questi insetti, le femmine hanno organi di senso adattati a localizzare il substrato organico in decomposizione. In particolare, sulle antenne sono presenti dei recettori sensibili agli odori emessi da queste sostanze.

Una volta individuato un sito adatto, la femmina depone le uova: queste sono di piccole dimensioni (0,5 – 1 mm di lunghezza) bianche e rilasciate in gruppi all’interno del substrato alimentare.

Le larve escono dall’uovo di solito in circa 24 – 48 ore e iniziano ad alimentarsi del materiale che le circonda.

Mosche domestiche, moscerini della frutta, sciaridi, foridi, psicodidi ecc. sono tutti esempi di ditteri che hanno i seguenti siti di riproduzione / alimentazione: frutta e verdura sovra matura, terreno contaminato da liquami, tubature rotte e fognature ostruite da acque reflue. È evidente che ci troviamo di fronte a materiale organico con elevata quantità di acqua.

Le larve si nutrono di queste sostanze organiche in tempi diversi e la temperatura dell’ambiente circostante è un fattore critico per determinare la durata del ciclo di sviluppo.

Molti esperimenti hanno dimostrato che le dimensioni dell’adulto che fuoriesce dal pupario e la sua capacità riproduttiva dipendono completamente dalla quantità e dalla qualità della dieta della larva; ad esempio una femmina che si è sviluppata su un substrato ottimale produce un maggior numero di uova.

Oltre all’esterno, il materiale organico colonizzato dalle “mosche e moscerini” risulta abbondante anche negli ambienti interni come abitazioni mal gestite, aziende alimentari, supermercati, bar e ristoranti ecc.

Il focolaio non deve necessariamente occupare una grande area per essere colonizzato: è importante rendersi conto che molti degli insetti sopra menzionati hanno larve estremamente piccole, lunghe 1 – 2 mm, e quindi piccoli accumuli di sostanza organica possono sostenere lo sviluppo larvale di numerosi individui.

In una cucina domestica o commerciale, ad esempio, le piccole zone contaminate tra le piastrelle sul pavimento o sui piani di lavoro possono fungere da punti di alimentazione per le larve di “moscerini” come quello della frutta, i foridi e gli psicodidi.

Anche le superfici, che appaiono a prima vista abbastanza pulite, possono comprendere piccole porzioni in cui vi è un accumulo di detriti alimentari umidi e sufficienti per sostenere lo sviluppo larvale.

I residui spesso assumono un aspetto sgradevole e gelatinoso e questo è esattamente ciò che attrae le mosche.

La consistenza gelatinosa, indicativa di un alto contenuto di umidità, è fondamentale per la sopravvivenza degli stadi giovanili. La disidratazione è spesso causa di morte delle uova e delle larve, particolarmente sensibili alla mancanza di acqua.

I moscerini della frutta, in particolare, si trovano spesso in habitat semi liquidi.

Quindi, proprio come le mosche hanno “un senso” nel grande schema delle cose, così lo sono questi piccoli ristagni di sostanza organica in putrefazione che, evidentemente, sono i motivi di riproduzione e alimentazione delle mosche!

Pertanto, dovrebbero essere ridotti al minimo in tutte le aree in cui il cibo viene preparato, immagazzinato o commercializzato.

Aggiornamento Normativa Privacy

Il 25 maggio 2018 entra in vigore la nuova normativa europea sulla protezione dei dati personali (GDPR – General Data Protection Regulation, Reg. UE 2016/679).

Confermando il nostro costante impegno a mantenere i dati dei clienti e dei fornitori protetti, in linea con le normative vigenti, e a garantire la massima trasparenza sul modo in cui gli stessi vengono trattati e tenuti al sicuro, Colkim srl ha adeguato l’Informativa sulla Privacy per renderla aderente alla nuova normativa.

Vi ricordiamo che è possibile in qualunque momento esercitare i diritti di cui agli artt. 15 e ss. del Regolamento UE 2016/679, come ad  esempio il diritto di accesso ai dati, o semplicemente aggiornare i consensi rilasciati scrivendo una raccomandata A/R a COLKIM SRL SOCIO UNICO, Via Piemonte 50 – 40064 Ozzano Emilia (BO) oppure una email a colkim@colkim.it.

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Cosa dice l’Auditor – N.5: Un approfondimento sulla UNI EN 16636

L’ultima parte della rubrica analizza i punti 6 e 7 della norma, in particolare il punto 7, prevede che il PCO si accolli la responsabilità di tutti i lavori che subappalta in modo che siano forniti sempre in conformità alla norma europea di riferimento.Invece il punto 6 si occupa essenzialmente di competenze e requisiti e, in accordo con l’appendice A, vista nella prima uscita, nella quale esiste proprio una matrice di riferimento delle diverse competenze, dal punto 6.1.1 al punto 6.1.9, viene descritto come il PCO debba mantenere, per le figure interne (non occasionali), alti livelli di formazione continua, aggiornamento, di adeguatezza delle competenze sui diversi tipi di parassiti, sui metodi di trattamento, di gestione e controllo degli stessi. È reso obbligatorio, al fine di dimostrare quanto sopra, la tenuta di un registro della formazione e i conseguenti risultati delle valutazioni finali formali.

Il punto 6.2 rende obbligatorio un registro delle attrezzature dove vengano evidenziati i programmi di manutenzione di tutte le attrezzature comprensivi di calibrazione regolazione per tutti gli oggetti che ne hanno bisogno.

Dal punto 6.3.1 al punto 6.3.3 si parla invece di utilizzo e fornitura di pesticidi.

La norma richiama l’attenzione del PCO, del suo tecnico e dell’utilizzatore professionale circa il corretto utilizzo dei pesticidi (efficacia, efficienza, impatto su ambiente e persone, impatto sul benessere animale).

Tutti i pesticidi dovranno essere usati solo ed esclusivamente seguendo le istruzioni riportate nelle etichette e sarà il responsabile tecnico che fornirà le informazioni dettagliate all’utente professionale, in modo che questo possa a sua volta dare consigli al cliente finale circa i rischi legati ai prodotti utilizzati, agli impatti potenziali sulle persone e sugli animali non target.

In ultimo, il paragrafo 6.3.6 fornisce informazioni circa i registri da tenere e i protocolli da implementare per gestire correttamente una fuoriuscita accidentale o il contatto del pesticida con una specie non bersaglio. Niente di nuovo per chi già possiede una certificazione Ambientale ISO 14001.

Nel paragrafo 6.4 e nei successivi, fino al 6.4.6, la norma indica l’obbligo di tenere una procedura per ciascun servizio fornito dal PCO.

In particolare la registrazione dovrà essere mantenuta per almeno un anno o comunque in conformità con i requisiti legali e quelli del cliente.

La registrazione deve comprendere le prove delle attività svolte e dei risultati raggiunti per includere i dati di intervento, parassiti, infestazione, tecniche e pesticidi utilizzati e qualsiasi altra informazione rilevante compresi i trattamenti aggiuntivi, i sistemi di monitoraggio supplementari, il miglioramento delle strutture, dei processi e della gestione (paragrafo 6.4.5).

Devono essere altresì registrati tutti i prodotti, le quantità e i loro principi attivi nonché tutte le raccomandazioni fornite al cliente per garantire un servizio sicuro ed efficace.

Quando il servizio erogato richiede un monitoraggio o un controllo continuo, i registri devono includere anche:

  • Il piano vero e proprio che indica la posizione e altre informazioni circa i punti di controllo;
  • Il programma dei monitoraggi pianificati.

Il paragrafo 6 si conclude con il punto 6.5 il quale suggerisce di tutelare i propri interessi e quelli dei propri clienti tramite un livello appropriato di assicurazione di responsabilità civile e professionale.

Sicuramente i PCO più strutturati, anche se fuori dalla norma, opereranno assicurando al loro cliente finale che i servizi da loro offerti siano il più possibile allineati, non con le buone pratiche ma, almeno, con un minimo di criterio nei confronti della gestione dei parassiti e dei problemi che si potrebbero avere dall’uso sconsiderato di taluni metodi di monitoraggio e controllo.

Molti, dopo l’analisi della 16636, avranno esclamato: “sono anni che faccio queste cose” mentre altri, solo con la lettura di questi articoli, saranno riusciti a capire che c’è molto da fare per allinearsi ai servizi gestiti almeno con le “Good Practice”.

La norma, da non prendere come una Bibbia, è rivolta ad entrambi i fruitori, quelli del “sono anni che lo faccio” per portarli in brevissimo tempo a certificare la loro “bravura” e quelli che non hanno mai adottato “buone pratiche” per avvicinarli il più possibile all’eccellenza.

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ON TOP PRO: nate per quei luoghi in cui non c’è spazio per collocare le trappole a luce UV

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Due prodotti di un’unica famiglia, Bombex® Farumy® e Bombex® Pebbys®25 CS.
Grazie alle tecnologia brevettata da Jesmond, questo innovativo sistema di microincapsulazione consente di avere delle microcapsule incredibilmente piccole (2-10 micron di diametro) che permettono un rilascio lentissimo per un tempo che supera i 90 giorni. Infatti il principio attivo viene rilasciato dalla speciale struttura delle microcapsule contraddistinte da un reticolo che agevola la fuoriuscita graduale del principio attivo attraverso i pori delle microcapsule.
Bombex® Pebbys®25 CS – Permetrina al 23,5%, attraverso una combinazione tra un picco di rilascio immediato e una base di rilascio lento, dà la possibilità di eseguire trattamenti rapidi e duraturi nello stesso tempo.
Bombex® Farumy® – La combinazione tra Cifenotrina (10,7%) e Pralletrina (1,1%) unita alla straordinaria microincapsulazione permette di controllare velocemente ed agevolmente un’ampia gamma di artropodi, anche quelli difficilmente controllabili.
  • I due insetticidi hanno un basso contenuto di solventi organici, sostituiti da acqua.
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Tuttavia, l’obiettivo che il reparto R&S di Colkim da tempo sta perseguendo di apportare modifiche migliorative alle sue formulazioni storiche, aggiornandole alla luce delle nuove normative pur garantendone l’alta efficacia sempre avuta, continua anche con Flytrin. Infatti abbiamo lavorato su solventi e coformulanti al fine di rendere il formulato finale meno pericoloso: in etichetta si passa da 4 simboli a 2 e spariscono due frasi H (H304 – Può essere letale in caso di ingestione e di penetrazione nelle vie respiratorie e H318 – Provoca gravi lesioni oculari).

Rubrica di Roberto N.6: Le blatte…naturalmente!

Quante volte nella nostra quotidianità sentiamo spesso parlare di “ecosistema”? Termine che solo al sentirlo pronunciare suscita in noi un certo fascino, ignari però dell’enorme complessità che si cela dietro il suo significato, difficilmente comprensibile a tutti noi che ne facciamo parte.

Al solo udirlo, la prima cosa che ci viene subito in mente è di associarlo alla natura, come di quell’ecosistema, per l’appunto naturale, che si forma senza l’intervento dell’uomo e che riesce a raggiungere il suo equilibrio ecologico in completa autonomia; ma non è l’unico!

L’uomo con la sua presenza e il suo operato ha creato un altro ecosistema, quello artificiale. La città ne è un esempio lampante, creata dall’uomo e in continua trasformazione per le innumerevoli variabili che di volta in volta intervengono, rendendo il contesto urbano molto ricercato da diversi organismi.

L’uomo ha costruito nel corso degli anni ambienti di vita in base esclusivamente alle sue esigenze, e continua a farlo, non considerando però che accanto alla popolazione umana esiste un’altra popolazione, quella animale composta da specie domestiche, che hanno accompagnato da sempre l’uomo nel suo cammino evolutivo, e da specie sinantropiche che frequentano abitualmente gli ambienti da lui creati.

Questo connubio genetico è alla base della creazione di situazioni di sovraffollamento che “viaggiano” parallelamente con il processo di urbanizzazione e che inducono queste popolazioni ad adattarsi necessariamente a questi nuovi spazi e a modificare drasticamente il loro comportamento alimentare e riproduttivo.

Il titolo di questo sesto articolo della rubrica potrebbe sembrare a primo impatto inappropriato se si considera che il filone fino adesso perseguito ha riguardato principalmente la descrizione di alcune specie di insetti infestanti del verde ornamentale, che pur non essendo tipicamente urbane sono comunque abituali frequentatori di tali ambienti in alcuni periodi dell’anno. Vi sembrerà altrettanto strano il concetto adoperato per introdurre un’altra categoria di insetti che per fama sono considerati una delle specie sinantropiche per eccellenza: mi riferisco naturalmente alle blatte!

A questo punto, come direbbe un vecchio giornalista, la domanda nasce spontanea: che c’entrano allora le blatte con le piante?

Ebbene, va considerato che accanto alle specie cosiddette sinantropiche, che conosciamo molto bene per il tanto temuto elevato potenziale di rischio igienico-sanitario (Blatta orientalis, Periplaneta americana, Blattella germanica, Supella longipalpa, Polyphaga aegyptiaca, quest’ultima presente nelle regioni meridionali), esistono alcune specie delle quali si conosce poco o nulla che frequentano invece gli ambienti prevalentemente naturali, trovandosi spesso a ridosso del confine con il contesto urbano. Questa inevitabile vicinanza le porta a frequentare occasionalmente le città e le aree rurali, portandole ad essere confuse con quelle nostrane, diventando così facile bersaglio per il disinfestatore che è chiamato ad intervenire.

Prima però di fornire una breve descrizione di alcune di loro, è importante non dimenticare mai che le specie di blatte “urbane” e non, indipendentemente dalla famiglia di appartenenza, provengono tutte dagli ambienti naturali, con la sola differenza che alcune di loro hanno seguito un profilo evolutivo diverso che le ha portate ad adattarsi perfettamente alle città e a colonizzarle, mentre la restante parte è rimasta stanziale nel suo habitat originario. Di quest’ultime annoveriamo la specie Loboptera decipiens e il genere Ectobius spp. (Ectobius vittiventris, Ectobius pallidus, Ectobius lapponicus, ecc.).

La Loboptera decipiens è una blatta appartenente alla famiglia Blattellidae, estremamente prolifica, di piccole dimensioni (raramente supera i 10 mm di lunghezza) e sprovvista di ali in entrambi i sessi. Presenta una livrea lucida con il corpo interamente orlato di giallo. Vive generalmente nascosta sotto i sassi, le foglie in stato di decomposizione, le cortecce degli alberi, e comunque in quegli ambienti naturali caratterizzati da un microclima caldo e umido.

Adulto di Loboptera decipiens (fonte: www.naturamediterraneo.com)

 

Le specie del genere Ectobius, presenti nella maggior parte dell’Europa, in Africa e in Asia, raggiungono invece dimensioni tra i 6 e 12 mm circa di lunghezza (le femmine sono più grandi dei maschi), con corpo di colore prevalentemente marrone o giallastro con margine più chiaro. Sotto certi aspetti assomigliano molto alla Blattella germanica, inequivocabilmente distinguibile per la presenza di due strisce longitudinali nere sul pronoto. Le femmine sono dotate di ali corte, a differenza dei maschi che invece presentano ali più lunghe che ricoprono l’intero addome. Le ooteche una volta prodotte vengono disperse nell’ambiente. Tutte le specie appartenenti alla famiglia Ectobiidae, sono fitofaghe e detritivore e pertanto è possibile rinvenirle sulla vegetazione, in particolar modo sulle foglie secche, erbe e cespugli.

 

Adulto di Ectobius vittiventris (fonte: www.insettieanimali.altervista.org)

 

Adulto di Ectobius lapponicus (fonte: bugguide.net)

 

L’attività riproduttiva di questa categoria di blatte è in stretta relazione con l’andamento climatico delle stagioni, con picchi di attività nei periodi primaverili-estivi, a differenza dei loro parenti “urbanizzati” che vivendo invece in ambienti chiusi dove le condizioni microclimatiche artificiali al loro interno vengono mantenute pressoché costanti non risentono affatto dell’incidenza della rotazione stagionale e di conseguenza il loro tasso riproduttivo rimane più o meno invariato con piccole eccezione nei periodi particolarmente freddi.

La presenza assolutamente occasionale di queste specie di blatte “non urbane” non dovrebbe in alcun modo allarmare gli abitanti delle case né tanto meno scomodare il disinfestatore che ha ricevuto la segnalazione. D’altro canto, è plausibile che il privato, non essendo del settore, non riesca facilmente a distinguere se ci si trova di fronte a blatte nostrane o a quelle provenienti dalla vegetazione esterna circostante. Ciò che invece il disinfestatore dovrà essere in grado di fare, e con estrema professionalità, è di distinguere tra le due diverse tipologie di blatte e nel caso tranquillizzare il suo cliente dell’assenza di rischio igienico-sanitario.

Abbastanza di frequente capita di intervenire ugualmente nei confronti di questi insetti mediante l’utilizzo di prodotti insetticidi o esche in gel, con la convinzione di poterli controllare. Ma la realtà è completamente diversa; queste occasionali blatte non si lasciano assolutamente attrarre dagli ingredienti alimentari utilizzati come attrattivi all’interno delle esche in gel, né tantomeno sortiscono l’effetto desiderato nei confronti dell’intera popolazione pseudo-infestante a causa della loro ridotta socialità. Pertanto, parlare di un vero e proprio controllo in fin dei conti è una gran forzatura!

Questo è uno dei casi, a mio modesto parere, in cui tentare di preservare una o più specie di per sé innocue semplicemente allontanandole invece che ucciderle, non è poi una cosa del tutto impossibile da attuare. Se provassimo solo per un attimo a tenere in considerazione un particolare aspetto del loro comportamento, e cioè quello di non contaminare con le proprie feci e sostanze sgradevoli i substrati alimentari che incontrano durante il loro “cammino” (come per esempio nel gen. Ectobius), cosa che invece le blatte sinantropiche effettuano regolarmente rendendo immangiabili gli alimenti e innalzando il potenziale rischio igienico-sanitario, sarebbe plausibile vederle un po’ meno ripugnanti ai nostri occhi?

L’uomo ha un’innata capacità di discernere ciò che è buono da ciò che non lo è ma, purtroppo, in alcune situazioni dove la paura e il disgusto prendono il sopravvento, la lucidità rende appannata questa nostra peculiarità che ci porta inevitabilmente a fare di “tutta l’erba un fascio” come nel caso di queste particolari specie che rimangono comunque delle blatte…naturalmente!