Rubrica di Dario n.16: Il sopralluogo, questo sconosciuto (Prima parte)

Nella mia attività ho spesso constatato che il sopralluogo è la fase più importante nella predisposizione di un piano di controllo ma, al tempo stesso, troppo trascurata. Il sopralluogo ha indubbiamente una doppia valenza, tecnica e commerciale. Infatti, se da una parte è vero che in tale fase si raccolgono le informazioni più importanti per predisporre il piano di controllo, dall’altra non va trascurato che è in questa occasione che il cliente si farà un’idea della vostra capacità.

Dal punto di vista commerciale, un sopralluogo frettoloso o, peggio, svogliato è quanto di peggio si possa concepire. Per carità, capita a tutti di avere fretta, vuoi perché si deve andare a prendere il figlio a scuola, o anche solo perché si è stanchi alla fine di una lunga giornata. Ci sono alcuni segnali che possono essere colti: ad esempio, quando il cliente vi dice frasi del tipo “non le interessa vedere la zona esterna?”, probabilmente ha colto che abbiamo fretta e non ci stiamo dedicando a dovere alla risoluzione del problema che a lui sta a cuore. Il suo desiderio, in quel momento, è vederci concentrati sul suo problema, anche il nostro rispondere al cellulare lo indisporrà. Un sopralluogo superficiale non consentirà di raccogliere i dati fondamentali, né ci permetterà di fare una buona impressione al cliente. Insomma, un fallimento da entrambi i punti di vista, tecnico e commerciale.

In generale, è bene evitare di eseguire un sopralluogo in condizioni difficili, per esempio quando il buio impedisce di ispezionare bene le aree esterne, o quando non si ha tempo a sufficienza. Purtroppo non sempre è facile rispettare i tempi che uno si è dato, basta un ingorgo o un imprevisto qualunque e la tabella di marcia salta. Se si è fatto tardi, meglio chiedere scusa e rimandare, insistere ad eseguire un’ispezione di scarsa utilità è controproducente.

Nella fase iniziale, è bene stare a sentire quello che dice il cliente, evitando di esprimere giudizi troppo prematuri. Vi esporrà il problema, riferendo inevitabilmente molti fatti e circostanze inutili, che sarà vostra cura sfrondare, ma in mezzo ai quali ci potranno essere importanti indizi per la risoluzione del problema. Cercherà immancabilmente di minimizzare il problema (“penso che sia sempre lo stesso topo”), di attribuirlo ad una causa esterna (per esempio, a dei lavori eseguiti nelle vicinanze), in alcuni casi avrà addirittura già pronta la soluzione, preferibilmente semplice ed economica (“basta mettere un po’ di bustine qui e lì”). Bisognerà fargli capire, con garbo, che il suo compito non è quello di fare le diagnosi né di trovare le soluzioni, ma di aiutarvi a capire come stanno le cose, in modo da poter individuare una soluzione al suo problema.

Rubrica di Mauri N.2: Cacciatrici solitarie…

Parliamo di vespe. Ma non di quelle che vivono in grandi società ordinate e aggressive come calabroni, polisti, vespule, quanto piuttosto di alcuni gruppi di imenotteri aculeati che cacciano le prede in solitudine per fornire il cibo alle proprie larve. All’interno della famiglia degli Sfecidi, si riconoscono facilmente le femmine del genere Sceliphron, insetti allungati con il corpo nero macchiato di giallo, sempre in movimento e che costruiscono i loro nidi di fango e argilla nei punti più strani e bizzarri degli ambienti urbanizzati. In Italia sono presenti 5 specie di queste vespe muraiole dalle abitudini simili, anche se due di queste risultano aliene e in grado di colonizzare il nostro paese già negli anni 90. Una, S. caementarium, è originaria del Nord e Centro America, l’altra S. curvatum, proviene dall’india e dall’Asia centrale. Non si sa bene come sono arrivate da noi, ma molto probabilmente i loro nidi erano attaccati a materiali provenienti da questi lontani paesi. I più temerari fra i disinfestatori avranno provato a staccare queste “celle pedotrofiche” dalle pareti e, incuriositi, rompendo lo strato di fango, si saranno trovati in mano….un pugno di ragni paralizzati! Le madri infatti vanno alla ricerca continua di questi aracnidi, li pungono con l’aculeo velenoso e li trasportano al nido, dove diventeranno cibo fresco per le larve, di colore giallastro. Alcuni studi hanno evidenziato che esistono delle preferenze alimentari, a livello specifico e di dimensioni delle prede. Generalmente vengono catturati ragni di dimensioni medie (4-7 mm di lunghezza) e che hanno un’attività “aerea” in quanto producono la classica ragnatela oppure si nascondono e stazionano sulla vegetazione (fiori, foglie, cortecce). I ragni prettamente “terricoli”, come ad esempio le licose (tarantole) vengono invece ignorati, anche se abbondanti, probabilmente perché difficili da catturare e particolarmente aggressivi. Gli Sceliphron possono pungere, come tutti gli aculeati, ma questo capita di rado e solamente se pesantemente infastiditi e/o manipolati.

Talvolta nei giardini, nei parchi, oppure lungo il margine dei boschi e nelle spiagge ancora seminaturali si osservano delle grosse vespe nere con macchie e strisce giallo/arancio che possono provocare disagio e paura nelle persone che non conoscono questi insetti. Si tratta di imenotteri della famiglia Scoliidae, che raggruppa in Italia oltre una decina di specie, tipiche soprattutto di ambienti caldi mediterranei. I maschi sono più piccoli, con antenne piuttosto lunghe, mentre le femmine, con il capo molto più grosso, possono raggiungere la lunghezza di alcuni cm. Le femmine del genere Megascolia possono superare i 5 cm e sono le vespe più grandi d’Europa: vengono chiamate volgarmente “vespa mammuth”, anche perché, oltre alle dimensioni, sono insetti docili e poco aggressivi, nonostante siano munite di un pungiglione importante. Quindi non dobbiamo preoccuparci se le scorgiamo perlustrare il terreno oppure alimentarsi di polline e nettare sulle infiorescenze, con preferenza per quelle di colore azzurro, blu, violaceo! Sono impollinatori di alcune specie di fiori e addirittura una orchidea selvatica che cresce in Sicilia e in Sardegna, simulando l’odore e la “forma dell’addome” di una femmina della specie Dasyscolia ciliata, è in grado di ingannare il povero maschio il quale, cercando di accoppiarsi, permette invece l’impollinazione alla pianta: nell’Italia peninsulare, dove non è presente questo particolare insetto, l’orchidea si riproduce solamente per via vegetativa.

In realtà il ruolo ecologico di questi imenotteri di grandi dimensioni è la ricerca e cattura nel sottosuolo di larve di grossi coleotteri (scarabeo rinoceronte, cetonie, cervo volante, “maggiolini”, ecc.). Una volta individuata la preda, la vespa, con l’aiuto delle grosse mandibole, scava nel terreno e punge l’ospite, sul quale, ormai paralizzato, depone un uovo: anche in questo caso la larva che schiuderà avrà un pasto sicuro e completo.

È chiaro, da queste brevi informazioni, che le vespe solitarie non sono “pane per i denti” di un disinfestatore professionale, il quale ha il compito di rassicurare il cliente sui reali rischi – praticamente nulli oppure limitati a particolari circostanze – di essere punti. E questi insetti, se non molestati, continueranno a svolgere in natura la loro attività, senza interferire con la vita di tutti i giorni degli essere umani.

Non importa in quale stadio. La vittoria è assicurata!

Scarica il depliant completo.

Ecco gli insetticidi per la lotta alle zanzare:

1 – Diflubenzuron

Igr-inibitore dell’enzima chitina-sintetasi

azioni_diflu

Tutti gli stadi larvali vengono danneggiati ma i più colpiti sono i primi due.

No_Larv_compresse

No_Larv_granuli

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2 – S-Metoprene

IGR – Juvenoide

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Particolarmente efficace sugli stadi larvali III e IV

bollo

Larvicol_compresseLarvicol_liquido

3 – CIPERMETRINA – TETRAMETRINA – PERMETRINA – PRALLETRINA

azioni_adulti

Exit100-01

 

Cymina plus

 

Sting-03

 

Permacol 16_2-04

 

 

Rubrica di Dario n.15: La nutria: da intoccabile a bersaglio mobile?

La Nutria è un roditore di origine sudamericana, introdotto nella seconda metà del secolo scorso negli allevamenti industriali da pelliccia di tutto mondo. La sua pelliccia, infatti, era molto apprezzata, ed era nota con il nome commerciale di “castorino”. Da questi allevamenti numerosi esemplari, fuggiti o deliberatamente rilasciati dopo la chiusura, si sono naturalizzati e oggi la specie occupa un ampio areale in tutto il Paese, con particolare diffusione nelle zone pianeggianti e irrigue.

Il problema della Nutria interessa l’agricoltura, con danni di varia natura alle colture, ma anche la funzionalità idraulica dei corsi d’acqua, visto che gli esemplari compiono estesi scavi causando così crolli e cedimenti delle sponde, con problemi di tenuta degli argini. Inoltre, la nutria presenta impatti negativi anche sugli ecosistemi, danneggiando i canneti e i nidi degli uccelli acquatici. Infine, la specie è vettore di importanti zoonosi, tra cui la leptospirosi. Insomma, da qualunque parte la si guardi, la presenza della nutria è un problema.

Nonostante ciò, la specie ha sempre goduto in Italia di uno status invidiabile, quello di specie protetta dalla legge 157/92, non potendo essere sottoposta a interventi di controllo in assenza di specifiche autorizzazioni. Gli agricoltori non potevano quindi difendersi, ma i suoi danni venivano indennizzati dalle provincie o dalle aree protette, enti che, in presenza di impatti ritenuti troppo elevati, potevano comunque attivare piani di controllo.

Nel luglio del 2014, tuttavia, le cose cambiano. Alla specie è stata tolta la protezione di legge, venendo quindi considerata alla stregua di ratti, topi e talpe, e come tale potenzialmente oggetto di controllo da parte di chiunque. Tutto risolto, dunque? Neanche per sogno, anzi, la situazione è più complicata di prima.

Il primo problema è che, non essendo più specie protetta, lo stato non può pagare più i danni alle colture prodotti dalle nutrie. Però gli agricoltori dovrebbero poter controllare le popolazioni di nutria nelle loro aziende, esattamente come fanno con i ratti o le talpe. E qui sorge il problema: con che mezzi possono intervenire i singoli proprietari? Con i rodenticidi? No, non esistono rodenticidi registrati contro la nutria. Forse con il fucile? No, è necessario il porto d’armi ad uso venatorio, e casomai solo nei periodi e nelle aree in cui la caccia è permessa, ma secondo alcune interpretazioni ciò configurerebbe l’uso improprio di arma. Con le trappole? In teoria sì, ma le trappole per le nutrie sono grandi, e ci si espone al rischio di catturare fauna protetta o animali domestici. E poi, come si sopprimono gli individui, e con che costi e modalità gli agricoltori potrebbero smaltire le carcasse di una specie potenzialmente vettore di malattie? Si aggiunga che alcune regioni prevedono anche specifiche autorizzazioni per l’uso di trappole…

In questo pantano normativo, la soluzione che si è voluta profilare da parte del Ministero della Salute e dell’Agricoltura è quella di affidare ai comuni la realizzazione di piani di controllo, come previsto dalla Circolare Interministeriale del 31 ottobre 2014. In queste attività ci potrebbe (anzi, dovrebbe) certamente essere spazio anche per i professionisti del pest control, i quali potrebbero essere tra i soggetti incaricati della gestione di tutte le fasi delle catture, previa partecipazione a opportuni corsi di formazione.

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Rubrica di Mauri N.1: Muri di primavera

Con l’inizio della primavera, quando le giornate non sono ancora troppo calde e il disinfestatore comincia a programmare la sua attività, non è difficile incontrare sui muri e sui tetti ancora umidi alcuni artropodi poco conosciuti, ma che in alcuni casi possono creare fastidio alle persone, mettendo in allarme i proprietari degli stabili. Generalmente i “bruchi sui muri”, pelosi e con notevole capacità di spostamento, appartengono alla famiglia degli Arctiidae (Sottofamiglia Lithosinae). Gli adulti sono farfalle anonime, con colori omogenei, dal grigio al giallastro, che a riposo tengono le ali anteriori, strette ed allungate, molto aderenti al corpo, dando l’impressione di trovarsi di fronte a piccoli bastoncelli di legno. La specie più comune del nostro paese è Eilema caniola che in questi ultimi anni ha evidenziato esplosioni demografiche: le larve, caratterizzate da una serie di tubercoli giallastri circondati da ciuffi di brevi peli, con proprietà moderatamente urticanti sulla pelle, possono arrampicarsi a centinaia sulle pareti esterne delle abitazioni, talvolta penetrando anche all’interno delle case dei centri storici. Questo problema si può osservare soprattutto in luglio – agosto, nei periodi più caldi, ma negli ultimi anni è stato segnalato anche in aprile, con le larve che hanno trascorso l’inverno alla ricerca di un ambiente idoneo per impuparsi e per dare origine, nel mese di maggio, alla prima generazione. La specie in questione, come la altre del gruppo, si nutre di licheni che crescono sulle rocce, sui muri, sui tetti. Di conseguenza queste invasioni sono legate ai parametri ambientali come temperatura ed umidità che agiscono direttamente sulle larve, presenti in microhabitat difficili, oppure sullo sviluppo delle piante nutrici.

Un altro insetto che trascorre l’inverno nascosto in fessure, anfratti sui tronchi, nel terreno, e talvolta nelle abitazioni, è un piccolo coleottero crisomelide, Galerucella luteola, di colore giallastro con alcune caratteristiche striature scure. Verso aprile-maggio gli adulti, lunghi 6-8 mm, lasciano in massa i rifugi invernali, divenendo così particolarmente visibili per raggiungere le piante di cui si nutrono come olmi e salici. Qui si accoppiano e depongono le uova. Le larve, molto voraci, raggiungono la maturità in 15-20 giorni. Durante l’estate compare le seconda generazione, seguita talvolta da una terza in autunno. E sono proprio questi individui a creare scompiglio nelle aree urbane.

Inoltre con i primi caldi i terrazzi, i sottotetti, i davanzali, i lucernari, vengono colonizzati da piccoli organismi rossi, lunghi 1-1,5 mm, molto veloci ed estremamente fastidiosi soprattutto perché se schiacciati macchiano irreversibilmente pareti, vestiti, tessuti. Sono acari (Balaustium murorum) predatori di minuscoli invertebrati che si sviluppano su muschi e licheni aderenti ai tetti, nelle caditoie, nelle fessure dei muri, ecc. La loro comparsa è legata alle superfici riscaldate dal sole; con il sopraggiungere dell’ombra spariscono, apparentemente svaniti nel nulla, per poi ricomparire quando le condizioni favorevoli si ripresentano. In Italia risultano inoffensivi, mentre in altre regioni possono pungere l’uomo, provocando reazioni cutanee più o meno evidenti.

Sempre in questo periodo troviamo invece degli insetti di colore rosso acceso, con puntini neri, che si nascondono nelle fessure e in mezzo alla vegetazione dei giardini. Si tratta di forme giovanili della cimice rossa e nera, Pyrrhocoris apterus, che quando raggiunge la maturità presenta il dorso simile a “una maschera tribale africana”.

Non è facile controllare gli “infestanti dei muri esterni”, proprio a causa dei particolari ambienti frequentati e delle popolazioni particolarmente abbondanti. I trattamenti con insetticidi residuali possono tamponare il problema, ma difficilmente lo risolvono. È preferibile essere chiari con il cliente, senza promettere i miracoli. Anzi, certe volte risulta più utile parlarne, accennando alle problematiche e alla biologia delle specie, piuttosto che intervenendo chimicamente. Potenzialmente otterremo dei vantaggi significativi di immagine che a lungo termine si potranno trasformare in risorse economiche. D’altra parte questi piccoli invertebrati, così come sono apparsi, altrettanto improvvisamente tenderanno a scomparire e a non interferire più (almeno per un po’!) con le attività umane di tutti i giorni.

Protezione delle derrate alimentari: i modi rudi dei parassiti (Seconda e ultima parte)

Intervista a Iris Kraaz, consulente e manager dei parassitoidi presso Andermatt Biocontrol.

Domanda: È difficile allevare insetti utili/parassitoidi in massa?

Iris Kraaz: Non è certo un’impresa molto facile… le condizioni in laboratorio infatti non corrispondono mai alle condizioni nella natura. Inoltre non possiamo allevare solo l’insetto utile, parallelamente dobbiamo allevare anche gli ospiti idonei, quindi gli insetti nocivi. Dovranno essere a disposizione al momento opportuno di parassitizzazione – basta una lieve oscillazione della temperatura o un’irregolarità nella soluzione nutritiva per accelerare o frenare lo sviluppo.

Domanda: Sono necessari grossi investimenti?

Iris Kraaz: Sì, certo, oltre alla tecnica di laboratorio e all’infrastruttura, per esempio per la regolazione del clima, occorre parecchio personale. Un simile allevamento richiede cure e va avanti tutto l’anno 24 ore su 24 anche durante i fine settimana.

Domanda: Dispone di un brevetto per i primi quattro insetti utili?

Iris Kraaz: No. È vero che si potrebbe brevettare la procedura di allevamento ma sarebbe poi difficile e oneroso controllare se qualcuno copia la procedura e ottenere poi ragione dal punto di vista giuridico.

Domanda: È già prevista la produzione di altri animaletti?

Iris Kraaz: Attualmente ci concentriamo sui primi quattro e vorremmo che venissero utilizzati, vorremmo riuscire a produrre la quantità necessaria a rendere possibile una produzione redditizia.

Domanda: Siete in grado di rifornire tutta l’Europa?

Iris Kraaz: I presupposti ci sarebbero, potremmo incrementare la produzione in ogni momento. Stiamo cercando attivamente possibili partner di mercato in tutta Europa.

Domanda: Andermatt Biocontrol sta per diventare un gruppo di dimensioni mondiali?

Iris Kraaz: Non lo siamo già ora? – Riferito alla grandezza della nicchia di mercato paragonata al resto del mondo?! Parlando sul serio: la Andermatt Biocontrol si impegna da vent’anni per lo sviluppo e la commercializzazione a livello mondiale di prodotti fitosanitari biologici – ai quali ora per la trasformazione e il commercio si aggiunge la protezione delle scorte. Non siamo un gruppo di dimensioni mondiali bensì una ditta attiva in tutto il mondo.

Innocui per l’ambiente, per l’uomo e per le merci depositate

Tutti e quattro gli insetti utili pronti per entrare in azione cercano in modo mirato gli organismi ospite e non rappresentano alcun rischio per l’ambiente e per l’uomo. Per gli inesperti è sorprendente scoprire come sono sufficienti solo pochi insetti utili per proteggere da infestazione: un grande panificio potrebbe proteggersi dalle tignole per un anno con soli 2,4 grammi (= 1,2 milioni di esemplari) di Trichogramma evanescens, un pastificio necessiterebbe di 6 grammi di Anisopteromalus calandrae (12000 esemplari) per tenere in scacco il coleottero del pane. Gli insetti utili non si nutrono della merce depositata e non lasciano nemmeno tracce di feci dato che sono liberati da adulti e che in questo stadio non rilasciano escrementi. Gli insetti utili vivono solo fino a quando è presente il parassita mirato, poi muoiono rapidamente. La regolare pulizia permette di eliminare resti di insetti morti (utili e nocivi) dalle materie prime come cereali, noci o semolino. La strategia di rilascio è inoltre organizzata in modo che nessun insetto utile finisca nel prodotto finale.

I vantaggi:

  • Niente residui sui prodotti
  • Nessuna interruzione della produzione
  • Nessun inquinamento dell’aria nei locali
  • Nessuna resistenza
  • Nessuna pulizia supplementare necessaria nella lotta convenzionale

Nel magazzinaggio e nella trasformazione di prodotti bio le sostanze chimiche di sintesi sono ammesse unicamente nei locali vuoti o per il trattamento dei rifugi escludendo il rischio di contaminazione. In caso di infestazione acuta, il trattamento dei rifugi non è sufficiente e i sili, i magazzini e i luoghi di produzione finora dovevano essere svuotati per permettere un trattamento esteso come la fumigazione o la nebulizzazione. Perdite di produzione e costi elevati erano inevitabili.

Gli insetti utili possono prevenire ma non sono una panacea

Trichogramma evanescens (contro le tignole) e Lariophagus distinguendus (contro i coleotteri) possono essere impiegati anche a titolo curativo, il punto chiave del programma è però chiaramente la prevenzione. Una forte infestazione non può più essere controllata e l’infestazione non può essere ridotta a un livello tollerabile entro un anno solo con insetti utili.

Anche nella prevenzione gli insetti utili non sono un prodigio che rende superflua la vigilanza continua o che riduce la pulizia a un mero passatempo per fanatici dell’igiene. La liberazione di insetti utili rappresenta una misura fra tante. Gli insetti utili vanno liberati in modo estremamente mirato, previa esecuzione di un’analisi dei rischi e dei punti deboli effettuata a regola d’arte (dal punto di vista costruttivo, dell’igiene, organizzativo) e con consulenza/accompagnamento.

Metodo utile anche nel settore convenzionale

Il successo dell’iniziativa non va sottovalutato. Per la prima volta in Europa, come afferma la responsabile del progetto Gabriela Wyss del FiBL (Istituti di ricerca dell’agricoltura biologica), l’impiego di insetti utili per le derrate è stato sperimentato a livello industriale. I trasformatori dell’industria biologica all’estero dimostrano interesse per i quattro insetti utili ora disponibili. Anche il settore alimentare convenzionale presto o tardi si accorgerà di questi animaletti, infatti i prodotti chimici di sintesi impiegati finora per la protezione delle scorte sono sempre più criticati. E pure gli acquirenti dei prodotti convenzionali diventano sempre più esigenti per quanto riguarda i residui nelle derrate alimentari. La gamma di prodotti ammessi per il magazzinaggio e la trasformazione diminuisce a vista d’occhio.

Come gestire gli insetti utili

La gestione degli insetti utili presuppone determinate conoscenze e va appresa.

Colkim è a disposizione per approfondire e insegnare l’uso di questo sistema bio al 100%.

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Protezione delle derrate alimentari: i modi rudi dei parassiti (Prima parte)

Scena n.1 – Scontro sul sacco di farina

Interno giorno – deposito prodotti finiti in attesa di spedizione

Nel deposito numero 2, là dove si trovano i grandi imballaggi pronti per la spedizione, sul penultimo bancale dal basso, da uno strappo in un sacco da 25 chili fuoriesce un vermetto. Per la precisione si tratta di una larva di tignola grigia della farina. Il corpo carnoso bianco sfumato è appena un po’ più scuro della farina, la sua testa brunastra e i suoi peli sono ricoperti di farina.

Il vermetto sta giusto raggiungendo la lettera «s» della scritta «farina semibianca per treccia» quando improvviso sopraggiunge un attacco dall’alto: un icneumonide si avvicina, misura circa 4 mm, e attacca la larva di tignola molto più grande di lui, lunga circa 2,5 cm. Questo icneumonide è specializzato nella caccia alla tignola della farina.

La scienza gli ha dato il nome certamente bello ma difficile da ricordare Habrobracon hebetor. Il nostro H.h. non perde tempo, deve sbrigare una faccenda urgente. Attacca lateralmente la larva e le conficca il suo lungo pungiglione tra due segmenti del gigantesco corpo. La larva si contorce, la testa si muove verso la vespa ma non è abbastanza veloce o non dispone di un apparato boccale adatto a contrattaccare. Alla larva della tignola, che pian piano vien meno per il veleno della vespa, vengono inferte altre due o tre punture fino a quando è completamente paralizzata e incapace di difendersi.

La vespa a questo punto succhia un po’ del succo vitale del corpo inerme della larva e, rinvigorita, inizia il lavoro per il quale ha paralizzato la larva: depone diverse uova all’esterno del corpo della stessa. Dalle uova usciranno larve di vespa che si nutriranno della larva di tignola – l’animale ospite – svuotandola man mano e crescendo a sue spese. Una volta grandi abbastanza, le larve si allontaneranno dai resti dell’ospite, chiudendosi in un bozzolo dal quale poi ne uscirà un icneumonide finito, adulto e sessualmente maturo. Il ciclo di vita dell’icneumonide Habrobracon hebetor si porterà a termine in circa 30 giorni.

Parassitoidi

Scena n.2 – Uova per i parassitoidi

Interno giorno – Secondo piano, mulino A

Al secondo piano, nel mulino A, si aggira un lontano parente di H.h., il Trichogramma evanescens , di dieci volte più piccolo ed infatti misura solo 0,4 mm. Anch’esso è capace di compromettere la sopravvivenza delle tignole interrompendo il loro ciclo vitale. L’imenottero T.e. tuttavia si attiva in uno stadio di sviluppo precedente rispetto a H.h. e non ha bisogno di attaccare le larve di tignola: esso infatti parassitizza le uova dell’ospite anziché le larve. (È per questo che è rimasto così piccolo o – al contrario – la sua specialità sono le uova proprio perché è così piccolo? – Chiedetelo a Darwin!).

T.e. dunque saltella e svolazza (non è un gran volatore) attorno al grande separatore o «scuotitore» nel quale avviene la prima pulizia del frumento. Trova ciò che cerca nella base della macchina, nei sostegni ammortizzati dei cuscinetti oscillanti, su un ferro a T dove non si riesce a pulire perché non arriva nessuna spazzola, nessuna scopa e nessuno strofinaccio. L’imenottero trova le uova di una tignola della farina. Salta su un uovo, gioiosamente vi si arrampica e ridiscende e infine vi si siede sopra e con forti movimenti ritmici della parte posteriore del suo corpo conficca l’ovopositore nel guscio esterno elastico dell’uovo della tignola.

Da questo uovo non uscirà mai una larva di tignola della farina bensì la larva dell’assassina della larva della tignola, l’imenottero Trichogramma evanescens. Il nostro T.e. però non parassita un uovo solo, anzi, perfora tutte le uova trasformandole in uova di Trichogramma.

Fantascienza o realtà?

Sembrano due scene di un film di fantascienza mentre invece sono realtà. In questo modo si svolge milioni di volte e da milioni di anni la lotta tra i parassiti e i loro ospiti. Laddove si tratta di ospiti che attaccano le nostre colture, che infastidiscono i nostri animali domestici o che si nutrono delle nostre scorte alimentari, i parassiti ci sono utili e perciò li chiamiamo insetti utili o parassitoidi.

Da tempo sia la ricerca che gli operatori commerciali coinvolti, hanno cercato il modo di proteggere le derrate tramite gli insetti utili.

Un progetto Svizzero finanziato dal fondo Coop per lo sviluppo sostenibile ha ora permesso l’impiego di insetti utili contro i parassiti delle derrate immagazzinate. È ora disponibile un set di quattro insetti utili contro tutta una serie di organismi nocivi.

Il successo è il risultato del lavoro di tre partner di progetto che hanno collaborato per tre anni: Andermatt Biocontrol AG ha sviluppato i sistemi di allevamento, l’impresa specializzata in lotta antiparassitaria Desinfecta si è occupata del rilascio sperimentale degli insetti e il FiBL (Istituti di ricerca dell’agricoltura biologica) si è occupato della direzione del progetto e della comunicazione.

Gli insetti utili (parassitoidi) impiegati negli esperimenti in Svizzera sono specie presenti in natura e gli esperti di Andermatt Biocontrol li hanno raccolti nei magazzini di cereali e nelle aziende di trasformazione o acquistati presso piccoli allevamenti. In seguito li hanno riprodotti in allevamenti di massa.

Lariophagus distinguendus auf Korn

Rubrica di Dario n.14: La peste, i ratti e le pulci: realtà o finzione? (Seconda e ultima parte)

Dunque, qualcuno mette in dubbio che a causare le epidemie di peste nel corso della storia siano stati i ratti, e che addirittura di peste non si sia trattato, ma di qualcos’altro.

Ma di cosa, allora? L’ipotesi avanzata negli anni scorsi da due ricercatori inglesi, Duncan e Scott, è che il responsabile della Morte Nera, l’epidemia che tra il 1348 e il 1350 colpì l’Inghilterra e l’intera Europa causando milioni di morti, sia stato non il batterio Yersinia pestis, ma un virus, simile all’odierno Ebola, definito appunto un “Ebola-like” virus.

Gli argomenti su cui si fonda l’ipotesi dei ricercatori inglesi sono diversi.

In primo luogo, i ratti non erano autoctoni in Inghilterra, né si hanno notizie di popolazioni particolarmente abbondanti all’epoca.

Mancano inoltre testimonianze di grandi morie di ratti, che ci sarebbero dovute essere, visto che le prime vittime della peste sono proprio i ratti.

Un altro punto critico è l’efficacia delle misure di quarantena: isolando i nuclei colpiti, il contagio si fermava. Questo è logico se si tratta di un patogeno trasmesso da persona a persona, assai meno se i colpevoli sono i ratti e le pulci, che se ne infischiano delle misure di quarantena.

Altro aspetto riguarda la velocità di avanzamento della malattia, quantificata in dieci miglia al giorno, assai superiore a quella stimata per la peste, di pochi metri al giorno. Questo concorda con una malattia provvista di elevata contagiosità, per esempio un virus.

Inoltre, la descrizione dei sintomi che si ritrova sulle cronache dell’epoca fa pensare più ad una febbre emorragica, mentre nelle cronache inglesi (a differenza di quanto avvenne in Italia) non c’è traccia dei caratteristici bubboni. Anche i tempi di incubazione, piuttosto lunghi, fanno propendere più per un virus simile ad Ebola che alla peste (2-5 giorni). Come avrebbe fatto, altrimenti, la peste ad arrivare in Inghilterra tramite le navi? I marinai ammalati sarebbero morti durante il non breve viaggio dall’Italia, da dove si narra fosse partito il marinaio genovese che portò il contagio.

Tuttavia, nonostante questi recenti, intriganti studi, l’ipotesi più accreditata resta ancora quella della peste, ma non nella forma bubbonica, trasmessa dai ratti e dalle loro pulci, bensì in quella polmonare, trasmessa quindi da uomo a uomo tramite aerosol infetto. Ciò è supportato da studi molecolari che sono riusciti ad individuare tracce del batterio nelle ossa di alcuni individui morti proprio nel corso dell’epidemia del XIV secolo. In particolare, sarebbe stata scoperta la presenza di ceppi del batterio oggi estinti.

Una cosa è sicura: quale che sia l’ipotesi che prevarrà, i ratti, almeno per quanto riguarda l’epidemia inglese del XIV secolo, sono innocenti.

Gli elettroinsetticidi e il Grado di Protezione IP – Un breve approfondimento a cura di Colkim e PestWest

Quando si parla di elettroinsetticidi (sia a griglia elettrificata che a colla), è opportuno trattare anche il tema del grado di protezione IP. Tutto il settore della disinfestazione professionale -dal produttore, al PCO, all’utente finale- è informato a riguardo e pienamente consapevole che il modello di trappola installato debba rispondere a quanto richiesto per l’ambiente interessato…

Oppure no?

Il Codice IP, Marchio Internazionale Protezione, IEC standard 60529, a volte interpretato come Marchio Protezione Ingresso, classifica e valuta il grado di protezione fornito da involucri meccanici e quadri elettrici contro l’intrusione di particelle solide (quali parti del corpo e polvere) e l’accesso di liquidi.

La normativa IEC punta a definire gli standard di sicurezza delle parti elettriche. Le due cifre che definiscono il grado IP, indicano la conformità con le condizioni riassunte nella tabella sotto riportata.

Le trappole a luce UV adatte a questi ambienti particolari devono essere progettate e costruite soddisfando i prerequisiti previsti nello Standard di Sicurezza Europeo (European Safety Standard) EN60529:1992. Se non diversamente specificato, il grado di protezione è IP 20 (uguale a quello presente negli uffici). In aree in cui ci sia presenza di polvere o di acqua è richiesto un grado di protezione specifico.

Solitamente l`utente finale sa quale indice di protezione è richiesto e quindi pretenderà una trappola che soddisfi almeno il grado di IP necessario.

Per fare qualche esempio: gli elettroinsetticidi che devono essere installati in esterni, dovranno avere un grado di protezione a partire da IP24. Tale livello li rende idonei per uso anche in fienili, stalle, ecc.

Il grado IP 2X è il massimo grado che una trappola a griglia elettrificata possa avere, perché deve comunque prevedere aperture che permettano agli insetti di entrare all`interno.

Le trappole installate in ambienti molto umidi, o dove possano essere esposte ad un potente getto di acqua, dovranno essere IPX5 o IPX6.

Fatti questi rapidi esempi, è ovvio che la qualità di una trappola, e il grado IP dichiarato, varia a seconda della qualità delle guarnizioni, dei sigillanti in silicone o degli altri componenti utilizzati al suo interno, che possono fare seriamente la differenza nella prestazione e nella sicurezza della trappola.

Sebbene oggi un produttore non sia obbligato a supportare il grado IP dichiarato con test e certificati prodotti da parti terze, PestWest® ha voluto delegare a laboratori indipendenti internazionalmente riconosciuti la certificazione delle proprie lampade, ritenendo tale atteggiamento molto professionale e corretto: un certificato rilasciato da un`azienda indipendente è un modo per garantire che i prodotti testati rispettano effettivamente i requisiti dichiarati.

Per questo motivo possiamo affermare con fierezza che tutti i prodotti PestWest® utilizzano componenti di elevata qualità che sono stati testati per la classificazione IP.

Per garantire che quanto dichiarato sia mantenuto negli anni, PestWest® unisce a un design innovativo, l’utilizzo di guarnizioni in gommapiuma a cellule chiuse e un uso ridotto di sigillanti in silicone.

Questi sono valori aggiunti che permettono all’azienda inglese di differenziarsi da altri prodotti presenti sul mercato, che invece utilizzano elevate quantità di sigillante in silicone, rendendo particolarmente difficile mantenere il medesimo grado IP nel tempo. Infatti, quando la trappola necessita di riparazioni, viene aperta e il silicone si stacca compromettendo il grado di protezione IP originario.

A questo punto, siete sicuri che la trappola che avete appena installato risponda davvero al grado IP richiesto? Colkim e PestWest® sono pronti a fornirvi certificati rilasciati da enti indipendenti attestanti il grado di protezione dichiarato, per supportare il vostro lavoro, e la vostra immagine.

IP Ratings Guide ITALIAN

Rubrica di Dario n.13: La peste, i ratti e le pulci: realtà o finzione? (Prima parte)

È una delle immagini più famose della letteratura del novecento. Siamo a Orano, in Algeria, in un imprecisato periodo negli anni ’40. Nella città, ad un certo punto, si verifica un’imponente moria di ratti. Comincia così, nell’immaginario dello scrittore francese Albert Camus, premio Nobel per la letteratura e autore nel 1947 del romanzo “La peste”, la devastante epidemia che colpisce la città nordafricana. Altri celebri resoconti della letteratura provengono dai “Promessi sposi” del Manzoni, che colloca parte del suo romanzo nella Milano del 1630, colpita da un’epidemia spaventosa, o dal Decamerone di Boccaccio, che riferisce dell’epidemia del XIV secolo.

Naturalmente, la peste non è solo fiction. La malattia è causata dal batterio Yersinia pestis, ed è probabilmente la zoonosi che ha mietuto più vittime nel corso della storia. Le epidemie di peste, soprattutto le più imponenti, quelle del Medio Evo, falcidiavano le popolazioni delle città e dei piccoli centri rurali, uccidendo talvolta più di metà degli abitanti.

Il legame con i roditori, benché sospettato da secoli, è stato acclarato solo alla fine del XVIII secolo, visto che si erano notate grandi morie di ratti proprio in occasione delle epidemie. I ratti, tuttavia, non sono direttamente responsabili della trasmissione del patogeno all’uomo, ma svolgono la funzione di “serbatoio”. Il vettore che materialmente trasmette il batterio all’uomo è la pulce Xenopsylla cheopis, ospite di molti roditori tra cui il Ratto nero.

Tuttavia, non è corretto parlare della peste al passato remoto, visto che l’ultimo caso in Italia si è avuto negli anni ’50, e neppure utilizzare il passato prossimo, dato che anche oggi nel mondo i casi di peste sono alcune centinaia ogni anno, soprattutto –ma non solo- nei paesi del terzo mondo (Madagascar, Libia, Vietnam ecc.). Nel 2013, un’epidemia di peste bubbonica ha colpito il Madagascar, causando oltre 40 morti, ed è tutt’ora in corso. Il patogeno, quindi, non è eradicato, ma la sua virulenza si è molto attenuata: rispetto ad alcuni secoli fa l’efficacia delle terapie antibiotiche è molto migliorata, così come la promiscuità fra uomini e ratti è ormai un lontano ricordo. Infine, gli insetticidi sono notevolmente più efficaci, e una delle strategie più efficaci contro la peste è proprio quella di distribuire insetticidi sui percorsi abituali dei roditori, sottoponendoli, in pratica, ad un trattamento “antipulci”.

Dunque, il ciclo ormai è ben noto, e funziona così: il ratto si ammala, la pulce lo punge e, succhiandone il sangue, acquisisce il patogeno, e lo trasmette all’uomo pungendolo a sua volta.

Ma siamo sicuri che nelle grandi epidemie di peste del Medio Evo le cose siano andate proprio così? È possibile che un meccanismo basato su due ospiti (ratto e pulce) possa aver prodotto disastri così imponenti?

In realtà, all’inizio del terzo millennio, alcuni studi scientifici hanno seriamente messo in dubbio che fosse stata la peste ad aver causato alcune delle più devastanti epidemie del Medio Evo in Europa. Come vedremo, ha così avuto inizio un appassionante giallo storico, che tramite la consultazione dei documenti dell’epoca ha portato alla formulazione di nuove, inquietanti ipotesi.

La peste